Faina e la truffa del muro

Oggi alle cinque del pomeriggio il mio amico Gigi Riva, omonimo del bomber del Cagliari ma soprattutto grande scrittore, sarà sul palco del teatro Astoria di Fiorano per raccontare i trent’anni della caduta del Muro di Berlino. Il significato storico di quell’evento rimane intatto, sebbene tante speranze non si siano realizzate. In compenso, realizzò un discreto...bottino un giovanotto originario della zona di Carpi. Gli amici lo chiamavano Faina, perché era un furbo di tre cotte. Non aveva voglia di lavorare ma non era cattivo. Coltivava sempre idee originali: ci fosse stato Internet all’epoca, il carpigiano Faina sarebbe diventato un popolare ‘influencer’, sono pronto a scommetterci.

Insomma, siamo nel 1989 e viene giù il Muro di Berlino. Scatta subito la mania del souvenir, la caccia al reperto, al frammento di quella odiosa barriera finalmente andata in frantumi. E cosa si inventa Faina? Riempie una, due, tre sacche di calcinacci. Poi comincia a girare di qua e di là, fingendo di essere rientrato da un fantastico viaggio a Berlino. Si calcola che l’eroe della libertà (di gabbare il prossimo, s’intende) abbia venduto centinaia e centinaia di brandelli del Muro berlinese, solo che provenivano da fienili abbandonati, da pollai diroccati, da capannoni dimenticati. Era, in fondo, una truffa innocente, quasi a fin di bene. Che c’è di male nel far credere alla gente che ha in casa un pezzetto di Storia?

Ps. Comunque, con quello che guadagnò Faina si pagò un week end. A Berlino, si capisce.

Leo Turrini