CHIARA MASTRIA
Cronaca

"I due gemelli veneziani metafora del ’doppio io’"

Stasera a Vignola la commedia di Goldoni riadattata dal direttore di Ert, Malosti: "Testo attuale, ci aiuta a capire la contrapposizione che si cela nella nostra vita"

di Chiara Mastria

‘I due gemelli veneziani’, la commedia settecentesca di Carlo Goldoni riadattata dal direttore di Ert Fondazione Valter Malosti insieme ad Angela Demattè, è un’avventura nei meandri della lingua italiana, un percorso alla scoperta di nuovi personaggi della commedia, un omaggio a un grande classico più contemporaneo che mai. Lo spettacolo - una gran macchina di divertimento con un intreccio trascinante fatto di duelli, amori e disamori, fughe, prigioni e ritrovamenti in cui svetta la magnifica invenzione dei gemelli identici ma opposti caratterialmente - sarà in scena stasera alle 21 al teatro Fabbri di Vignola, da giovedì a domenica all’Arena del Sole di Bologna e poi di nuovo da noi, al teatro Storchi di Modena dal 24 al 27 febbraio.

Malosti, ‘I due gemelli veneziani’ ci presenta inedite prospettive e finestre sulla contemporaneità. Quali?

"Goldoni è un autore ‘al presente’ semplicemente perché ci parla ancora, ci interpella, ci aiuta a capire il doppiofondo che si cela nella nostra vita. Siamo una cosa e contemporaneamente anche un’altra. Tutti i personaggi qui sono doppi. E il tutto stando sul confine tra teatro serio e teatro comico, è come se tragedia e commedia si parlassero. Cosa che avviene in scena, e clamorosamente. Goldoni era un grandissimo uomo ‘di scena’, oltre che ‘di libro’: scriveva per – e probabilmente anche con – i suoi attori. I suoi protagonisti portano i nomi d’arte dei comici che poi per primi l’hanno messo in scena; e ne rispecchiano la fisionomia, i caratteri, i talenti. Da qui parte, anzi riparte una strada diversa e nuova, che ci porterà a un incontro insolito con il celebre autore; e al nuovo allestimento di quella ’commedia fatale’ che – confiderà egli stesso – l’aveva ’nuovamente tentato per il teatro’, conducendolo alla scelta di abbandonare definitivamente l’avvocatura per lavorare a tempo pieno nel mondo dello spettacolo".

In che modo è intervenuto su questo testo?

"Lo studio drammaturgico è stato meticoloso, filologico, profondissimo: andando a cercare, dentro e oltre il senso stretto delle parole della commedia, ulteriori spunti, indicazioni, prospettive, interrogando sia l’opera di Goldoni, sia il lavoro dei comici per i quali il dramma è stato scritto. Per me si tratta di prendere il testo ‘alla lettera’ e al tempo stesso di renderlo nuovamente concreto, reale, dando sostanza, riscontro e contesto a battute e azioni in modo che possano essere poi ancora una volta assunte nel corpo e nella voce dei nuovi attori che andranno a inscenarle".

Al centro di questo lavoro, e più in generale della sua ricerca artistica, c’è la lingua italiana. Cosa la affascina di essa?

"In questi anni ho cercato di esplorarla teatralmente incontrando e scontrandomi con Longhi, Gadda, Pasolini, Testori, Tarantino, Calasso (via Nietzsche) e Primo Levi. Una delle prime fascinazioni che ho per un testo nasce sicuramente dalla lingua e dal suono della lingua che crea un significato altro e ulteriore. Detta ad alta voce, poi, quel tipo di lingua si fa musica. E tutti i grandi autori hanno dentro di sé una grande musica".

Finalmente in scena davanti al pubblico nei ‘suoi’ teatri. Cosa significa per il mondo dello spettacolo, per la società?

"Io credo che sia un momento decisivo questo, in cui occorre riportare la scena teatrale al centro dei discorsi e delle pratiche del teatro. Il movimento che ci porterà a nuovi modi di creare opere deve essere quanto meno duplice, è dalla creazione in scena che si deve irradiare il lavoro nella società e con la cittadinanza. A questo proposito io cito sempre Leo De Berardinis: ‘Da anni parlo di teatro popolare e di ricerca. Ma bisogna intendersi. Teatro popolare significa elevare e non abbassare la forza e l’emozione poetica. Popolare è il Teatro greco. Popolari sono Shakespeare e Mozart. Il pubblico deve ritrovarvi la bellezza, averne nostalgia quando ne esce, e così rivendicarla nella vita, nella società’".