"Il mio Ligabue fantastico, eroe di un mondo scombinato"

Lo scrittore Roberto Barbolini ristampa il suo libro sul pittore, oggi protagonista di mostre e del film ’Volevo nascondermi’

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di Maria Silvia Cabri

E’ un anno davvero speciale questo per il pittore Antonio Ligabue: sul grande schermo è uscito ‘Volevo nascondermi’, diretto da Giorgio Diritti. Nel ruolo di Ligabue, l’attore Elio Germano che ha vinto l’Orso d’argento come miglior attore al Festival di Berlino 2020. Nel cuore di Parma, capitale italiana della cultura 2020+21, a Palazzo Tarasconi, è stata inaugurata la rassegna dedicata ad Antonio Ligabue. E quest’anno è stato anche ristampato il romanzo ‘Ligabue Fandango’, dello scrittore e giornalista Roberto Barbolini, uscito per la prima volta nel 2003. Un testo veloce e intenso, in cui la follia padana assume ritmi di danza, mentre Roberto Barbolini dà vita a un insolito ritratto del favoloso Ligabue, tanto più vero quanto reinventato, lunatico e strampalato.

Perché questo titolo?

"Una mia invenzione. Ha un’assonanza con la parola ‘fango’ e nel romanzo ci si muove spesso nella terra di fango, nei dintorni del fiume Po e durante la seconda guerra mondiale. Inoltre richiama, in modo onirico e ironico, il cantante Luciano Ligabue, che cita ‘fandango’ in ‘Balliamo sul mondo’. E soprattutto, una danza esotica che si sposa con il ritmo del libro, una prosa quasi ad endecasillabi, con una sarabanda di voci narranti".

Chi è il protagonista?

"Ligabue, il pittore: è il perno intorno al quale gira questo ‘mondo scombinato’. Ho ripreso vari aneddoti storici (si picchiava il naso con una pietra per farlo divenire aquilino) e su questi ho costruito un personaggio fantastico. Su di lui ho sintetizzato un certo tipo di figura picaresca, il ‘matto padano’ che trova storicamente il suo antecedente in Ariosto con il suo Orlando Furioso, emblema di una narrazione fantastica di cui uno dei motori è la follia. Siamo di fronte ad una distopia storica: nelle terre della Fabbrica Ducale che produce con metodi da lager piastrelle di ceramica da esportare in tutto il mondo, in una Bassa padana simbolica, si snodano gli incubi e le fughe dalla vita del pittore e dei suoi bizzarri compagni d’avventura: l’amico, anche lui pittore, Pietro Ghizzardi; Angelica, donna sensuale dal nome ariostesco, con suo figlio Bilìn; un mongolo e varie altre creature che formano uno stralunato bestiario umano. Sullo sfondo, il rombo di una guerra in parte vissuta, in parte immaginata entro i confini d’un piccolo ducato".

Perché lui?

"Era l’ideale figura per rapportarmi al tema della follia del mondo. Lui uomo sensibile ha patito la vita, la guerra, il caos in prima persona, pensando riguardassero solo lui, mentre altri si trinceravano dietro la normalità. Questo è stato per noi il Covid: ha tirato fuori quella patinata fragilità della normalità su cui avevamo costruito le nostre certezze".

In alcuni tratti lo sente vicino? "Certo, l’ho inventato io! L’ho usato, per richiamare Virgilio e Dante, per attraversare la follia del mondo. Mi piace come artista ma soprattutto mi incuriosisce: ha aspetti che lo rendono romanzesco. Questo è in libro sull’inesistenza dell’esistenza, sull’irrealtà della realtà che però si concretizza nella sua durezza: la guerra in passato, il Covid oggi".