"In viaggio con i miei pazienti"

La psicoterapeuta Mariella Piccolo presenta ’Arance sulla neve’: "Un volume introspettivo"

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’Arance sulla neve’: un titolo e una foto di copertina assai evocativi per il libro - edito da Betti nella collana I Labirinti - della dottoressa Mariella Piccolo, psicoterapeuta di origini calabresi che da oltre quarant’anni vive a Modena. Racconti che dalle confidenze dei pazienti, riportano alla mente della narratrice ricordi lontani nel tempo.

Come nascono i racconti di ’Arance sulla neve’?

"Nascono da due esigenze: mia, e dei pazienti. Io volevo liberarmi di alcuni avvenimenti della mia vita oggettivandoli attraverso la scrittura, come fa un pittore con le sue emozioni rendendole quadro. L’altra è dettata dalla curiosità dei pazienti. Molti, in trent’anni di professione, mi hanno detto che avrebbero voluto sapere qualcosa di me, delle mie emozioni, e spesso, conclusa la terapia, desideravano stabilire un nuovo rapporto, di amicizia, e restavano spiazzati quando spiegavo loro

che non è possibile. L’intento del libro è stato quello di gettare una luce su ciò che accade al

terapeuta durante le sedute, un luogo di incontro delle anime. Le storie che ascolto sono molto diverse fra loro, ma spesso rinviano anche alle mie emozioni. I racconti, infatti, iniziano con una frase del paziente, che attiva un ricordo o un accadimento della mia vita. Direi che devo il libro proprio a loro: i miei pazienti".

Perché questo titolo, e la bellissima foto in copertina?"“Il titolo viene dal racconto omonimo, che narra la spettacolare e drammatica nevicata del ’56: ilmio paese rimase isolato per giorni e arrivarono degli elicotteri militari a lanciare pacchi di viveri.Quel giorno vidi piovere arance sulla neve e la scena mi è rimasta fortemente impressa nella memoria".

Nel suo lavoro di psicoterapeuta le parole sono di fondamentale importanza: qual è stato il modo in cui ha lavorato sulle parole mettendosi a scrivere?

"Le parole sono potenti: possono fare male o tanto bene. Ho scritto, letto e riletto, limato, aggiunto, atteso… le parole giuste. Ho usato l’espediente di essere l’analista di me stessa, attivando l’introspezione. Non volevo rimanere dalla mia parte della scrivania, ma mettermi nei panni di chi avevo di fronte. Nel libro sono presenti due stili e due prospettive. Quando la protagonista, Nina, è piccola, ci sono descrizioni particolareggiate e dialoghi scarni. Il linguaggio è semplice e colloquiale: si tratta di una bambina, e i bambini vedono dettagli che agli adulti sfuggono. Poi lo stile narrativo cambia, perché deve rispecchiare il vissuto di una donna. In definitiva, il libro narra un viaggio di andata, verso l’infanzia, e di ritorno nel presente. I miei compagni di viaggio sono i pazienti. Se il terapeuta deve far ’partorire’ ciò che le persone hanno dentro, in questo caso loro hanno permesso a me di far uscire dalle cantine della memoria eventi mai dimenticati".

Gianluigi Lanza