Un’odissea lunga 34 anni. "Io, italiano costretto a sbarcare come un migrante a Lampedusa. Ora voglio solo rivedere papà"

Michel Ivo Ceresoli è nato in Guinea da padre modenese: non si vedono dal 1996. "Nel 2010 l’ultima telefonata, mi disse che ci avrebbe mandato dei soldi. Poi è sparito. Mi piacerebbe incontrarlo per capire come mai ha abbandonato me e mio fratello"

Michel Ivo Ceresoli, 34 anni, mostra la carta d’identità. A sinistra, Ivo Ceresoli con Maimouna Barry (vestito verde), madre di Michel Ivo

Michel Ivo Ceresoli, 34 anni, mostra la carta d’identità. A sinistra, Ivo Ceresoli con Maimouna Barry (vestito verde), madre di Michel Ivo

Roma, 13 aprile 2024 – “Anche se non posso dimenticare quello che ci ha fatto, come ci ha abbandonati, vorrei ancora incontrare mio padre. Non voglio creargli problemi, vorrei solo conoscerlo. Ho sempre sognato di poter dire di essere fiero del mio papà". Michel Ivo Ceresoli, nato in Guinea dal modenese Ivo Ceresoli (classe 1938 e originario di Montefiorino), fa fatica a trattenere la commozione. Ogni tanto si interrompe, la voce sembra spezzarsi. Suo padre, trasfertista in Africa per la Astaldi a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, ha lasciato definitivamente la Guinea nel 1996, dopo aver avuto una relazione e due figli (Michel Ivo e Abraham, oggi 30enne) con Maimouna Barry.

Come è stato possibile che lei, pur essendo italiano, sia stato costretto ad attraversare il Mediterraneo tra i migranti per tornare in Italia?

"Mio padre mi aveva riconosciuto, ma non avevo carta d’identità o passaporto. Sono stato costretto a imbarcarmi clandestinamente a causa dell’incompetenza delle autorità italiane in Guinea. Ho provato in tutti i modi a farmi ascoltare: ho detto che se fossi morto nella traversata, mi avrebbero avuto sulla coscienza. Ma non è servito a nulla. Alla fine sono dovuto ricorrere ai trafficanti di uomini, spendendo circa 2.500 euro. Sono stato imprigionato, ho camminato per cento chilometri sotto il sole. Ma sapevo che ce l’avrei fatta".

Da quando non sente suo padre?

"Nel 2010, grazie all’intercessione del console italiano dell’epoca, eravamo riusciti a contattarlo. Inizialmente disse che io e Abraham non eravamo suoi figli, ma poi ha richiamato per dire la verità. Il console gli ha suggerito di aiutarci, perché la nostra situazione in Guinea era disperata".

In che senso?

“Mia madre è musulmana e la relazione con mio padre, un cristiano, non è mai stata accettata dalla famiglia. Non avevamo nemmeno i soldi per mangiare, nessuno ci aiutava. Inoltre, a causa delle nostre origini e del colore della nostra pelle, io e mio fratello siamo sempre stati discriminati. Anche lavorare per noi era impossibile: ci dicevano che prima venivano i veri guineani".

E cosa è successo dopo la seconda telefonata?

"Papà ci promise che entro quattro giorni avrebbe mandato dei soldi e ci avrebbe comprato un’auto. Per tre giorni ci siamo sentiti al telefono ininterrottamente. Ci chiedeva continuamente scusa per quello che aveva fatto e piangeva. Poi il quarto giorno ha risposto una donna, penso fosse sua moglie. Ci ha detto di non chiamare mai più. Il giorno successivo quel numero aveva cessato di esistere. È stata l’ultima volta che abbiamo sentito papà".

Perché vuole incontrarlo?

"Non ho mai conosciuto l’amore di un padre. Voglio sapere se qui ho dei fratelli, imparare la lingua e conoscere le mie origini".

E dopo? Tornerà in Guinea?

"Per me una vita là è impossibile. Mi piacerebbe tornare come turista, per rivedere i miei amici. Ora sogno di studiare, lavorare e sposarmi qui. E di portare in Italia anche mio fratello e mia madre".