Liu-Jo, novecento in cassa integrazione

Tessile, l’ultima stretta ha dato il colpo di grazia. Marchi: "Il sistema è in ginocchio, non vediamo soluzioni: costretto a fermare i dipendenti"

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La moda si ferma. Con l’ultimo decreto emanato nei giorni scorsi dal presidente del Consiglio Conte, tutto il distretto tessile resta bloccato, in quanto si tratta di ‘attività non essenziali’.

E scatta per moltissime aziende la richiesta di cassa integrazione per i dipendenti. Lo stesso Marco Marchi, fondatore con il fratello Vannis del colosso Liu Jo, di cui è anche presidente nonché azionista di maggioranza, ha messo in cassa integrazione tutti i suoi dipendenti. E si tratta di numeri importanti: 900 in totale se si considerano anche quelli dei negozi monomarca sparsi per tutta Italia. Circa 400 quelli che invece lavorano all’interno dello stabilimento di Carpi. "Abbiamo chiuso e messo tutti i dipendenti in cassa integrazione – spiega Marco Marchi -. Non c’era alterativa. Tutto il sistema è bloccato, non ci sono soluzioni. Possiamo solo cercare di gestire day by day le problematiche, nella speranza che qualcosa si muova. Tutto il mercato è paralizzato". "Cos’è il nostro? Un grido, un urlo di allarme. In un mese il mondo è cambiato, abbiamo di fronte uno scenario diverso: la speranza ora è di uscirne, ma con quali effetti collaterali? Le proiezioni sono nefaste; difficile essere ottimisti a fronte di questo ‘domino’ che produrrà effetti socialmente molto grandi. Mi viene in mente una frase che di recente ha pronunciato Fabio Volo: ‘Credo che questo processo possa portare più aziende chiuse che morti’. Ci tocca tutti, dal punto di vista sanitario e da quello economico". "Il documento del premier non ha fatto altro che prendere atto di questa disgrazia, come uno stormo di cavallette sopra un raccolto: un flagello. Per quanto si possa essere abituati a gestire situazioni di crisi, questa non ha eguali ed è difficile oggi ipotizzare strategie per tirarsene fuori. Il sistema è al collasso, siamo in ‘guerra’ e sicuramente questo comporta la distruzione del sistema economico industriale".

Negozi. "Già da marzo Liu Jo era ricorsa alla cassa integrazione per i dipendenti dei negozi – commenta Sergio Greco, sindacalista Cigl – mentre per gli altri c’è stato un ampio utilizzo dello smart working. Ora però non è più possibile neppure quello. Ricorrendo alla cassa integrazione, Marchi ha comunque voluto ‘tutelare’ i dipendenti per evitare di ‘costringerli’ ad utilizzare le proprie ferie. Pare quasi un ‘paradosso’: prima eravamo noi sindacati a ‘pregare’ gli imprenditori del tessile a ricorrere all’ammortizzatore sociale; ora non hanno alternativa".

Stagionale. "Quello della moda è un settore ‘stagionale’ – prosegue Greco – difficilmente si riuscirà a recuperare quello che si perderà ora. Certo, l’auspicio è che una volta passata l’emergenza sanitaria, tutti si ‘sfogheranno’ sul cibo e anche negli acquisti, ma non bisogna dimenticare che con la cassa integrazione gli stupendi saranno ridotti e la gente avrà meno denaro da spendere. La campagna primaveraestate 2020 potrebbe considerarsi persa per alcuni imprenditori. Certo gli ammortizzatori sociali aiutano, ma vedo il 2020 un anno molto difficile con il rischio della perdita di molti posti di lavoro. Certo, Liu Jo non è mai ricorsa alla cassa integrazione e ha una fetta di mercato che le consentirà comunque di riprendersi; ma lo stesso discorso non può essere fatto per le piccole-medie imprese che perdono ora ordini che non recupereranno più". Largo. "Secondo la nostra valutazione sindacale – prosegue Roberto Giardello della Cisl – l’ultimo decreto è ancora troppo ‘largo’, sono permesse ancora troppe attività considerate ‘essenziali’ ed inoltre si presta a interpretazioni forzate. Se si decide di fer,arsi, di deve fermare tutti". "Stiamo ricevendo tantissime richieste di cassa integrazione legata alla causale Covid: tutto il settore tessile, salvo che non produca tessuti ad uso sanitario, si è fermato. Non c’è alternativa".