Marina, la travagliata storia di una dissidente "Quello spirito incapace di moderazione"

Apre stasera il ciclo di eventi ‘Le Passioni allo Storchi’: in scena ’Nell’impero delle misure’, le mille facce della personalità di Cvetaeva

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di Matteo Giannacco

Impossibile ’ridurre’ Marina Ivanovna Cvetaeva a una sola, per quanto formidabile, interpretazione. Per raccontare la sua storia, meglio affidarsi a una polifonia e portare così in teatro le molte facce della sua personalità. È proprio questo che propone lo spettacolo ‘Nell’impero delle misure’ che apre il ciclo di eventi ‘Le Passioni allo Storchi’ il 29 novembre. Attraverso una composizione di scene, affidate a cinque attori, sul palco prende forma la travagliata esistenza della dissidente russa. Un omaggio originale a una delle voci poetiche più singolari del Novecento, prodotto da Ateliersi ed Emilia Romagna Teatro, diretto da Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi. "Cosa farò, smisurata, nell’impero delle misure?" si domanda Cvetaeva nella poesia da cui è tratto il titolo della pièce.

Taglia i capelli corti, scrive versi a sei anni e si sposa quando ne ha diciannove. Uno spirito incapace di moderazione, che vive e genera grandi passioni, come quella di Mandel’stam, che se ne invaghisce. O quella che prova per il marito Sergej Efron, prima ufficiale dell’armata bianca e poi dalla parte dei soviet. Lo seguirà per l’intera vita anche quando il destino sembra averli separati per sempre. Un impeto amoroso che, nello spettacolo, è affidato alla recitazione di Angela Baraldi.

Cvetaeva ha vissuto povera ed emarginata, "braccando il giorno come una bestia selvatica".

Cosa ci racconta la sua testimonianza?

"Forse il desiderio di aderire al proprio universo interiore nonostante la violenza e la rigidità del mondo esterno" – commentano i registi – "perché Marina, in un contesto totalitario, è riuscita a conservare e sviluppare una straordinaria forza espressiva. Resta il suo esempio: seguire la creatività anche in un quotidiano soffocante".

Margherita Kay Boudillon veste i panni della poetessa adolescente. Siamo appena prima della rivoluzione bolscevica, della quale sarà testimone. "Già in questo periodo, tutto sommato sereno anche se pervaso dal desiderio di ribellione, è capace di uno sguardo raffinato e inquieto" proseguono Fiorenza e Andrea. In una sorta di ‘evocazione’ corale della poetessa, protagonista della rappresentazione è anche il pianoforte suonato da Francesca Lico. "Dal profondo rapporto con la musica di Cvetaeva emergono sia la figura della madre che quelle dei figli, in un crescendo drammatico di eventi, perché dopo il 1917 iniziano le peregrinazioni in Europa. Sono anni di stenti. Ma nel cuore di questa donna esplode una forza lirica unica".

Qual è il fulcro spettacolo? "Senza dubbio la poesia, i versi taglienti che per tutta la vita sono stati l’urgenza esistenziale di Marina. Il ritorno in Unione Sovietica nel 1939, dopo il terrore staliniano, segna l’inizio della fine. In quanto dissidente emigrata, sospetta i pericoli ai quali va incontro per ricongiungersi al suo sposo. Ne parla con Boris Pasternak che però non la dissuade dall’intento".

La sorella e la figlia maggiore sono deportate nei gulag. Il marito viene fucilato. Allora lei scrive: "Da un anno misuro la morte". Di nuovo, questa insondabile misura. "Si tratta di una misura che le viene data - conclude Andrea, voce narrante della pièce - e con la quale Cvetaeva è incapace di confrontarsi. Vorrebbe andare oltre, riflettersi negli occhi degli altri. Ma tutto, intorno a lei, trattiene l’estensione ‘vocale’ della sua anima".

Evacuata a Elabuga, in Tatarstan, con l’invasione tedesca di Russia, Marina si uccide il 31 agosto del ‘41. Nessuno va ai suoi funerali e non si sa dove sia sepolta. Ma la sua voce, come un vento potente, scuote ancora gli animi e canta adamantina e sublime, libera.