"Medicina, gli studenti sono aumentati Se avessimo più spazi crescerebbero ancora"

Il preside della facoltà, Giorgio De Santis, a un anno dall’inizio del suo incarico fa il bilancio: "Siamo in attesa di fondi europei" "Il momento più emozionante è stato il ritorno in presenza al 100%: questo ha ridato impulso al dialogo con noi docenti"

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di Paolo Tomassone

I medici con esperienza abbandonano il Pronto soccorso. Ma anche i giovani laureati se ne stanno alla larga dalla medicina d’urgenza: quest’anno in Italia su 1.200 borse ne sono andate deserte più di 400. Gli anestesisti sono diventati un miraggio, per non parlare della carenza di medici di base dopo l’impennata di pensionamenti. "Non è un problema solo italiano: in Inghilterra c’è una vera e propria caccia di medici dall’India e da tutto il mondo" precisa Giorgio De Santis, preside della facoltà di Medicina e Chirurgia di Unimore. Denunce, aggressioni, carichi di lavoro aumentati durante il Covid, numero chiuso per l’accesso all’università: sono diverse le motivazioni che tengono lontani i giovani dalla medicina. Modena fa eccezione: ogni anno, da circa tre anni, si riescono ad accettare tra i 30 e i 50 studenti in più nei corsi di studio di aree sanitarie dove ad oggi risultano iscritte 3.752 persone.

"Si potrebbe fare molto di più se ci fossero le strutture, ma per questo c’è bisogno del sostegno della Regione e dei finanziamenti europei".

Professor De Santis, come si spiega questa ‘fuga’ dalle professioni sanitarie?

"È un argomento spinoso e va valutato da più punti di vista. Prima di tutto la carenza di medici è un problema europeo e non solo italiano. Non possiamo, però, non tener conto del numero chiuso che venne introdotto alla fine degli anni ’80, quando i medici erano ancora tanti, con l’intenzione di migliorare la qualità della didattica e ridurre la pletora medica. Gli effetti di questa decisione li abbiamo visti negli ultimi anni: forse per una mancanza di programmazione non si è trovato un bilanciamento tra le uscite e le entrate e così siamo andati in deficit. Il ministero ha aumentato il numero di borse per specializzandi in tutte le discipline, ma continuiamo ad avere pochi specialisti di branche sensibili come medicina d’urgenza, anestesia, ortopedia e pediatria".

La stessa mancanza di medici si registra anche a Modena?

"Negli ultimi tre anni abbiamo aumentato, nei limiti delle nostre possibilità, gli iscrivibili a Medicina. Questo sicuramente aiuta a lenire la sofferenza. Tenuto conto dell’emergenza Covid abbiamo messo a disposizione gli specializzandi per l’attività vaccinatoria e - in virtù di convenzioni in corso tra azienda territoriale e azienda ospedaliera - per il Pronto soccorso e la Medicina d’urgenza degli ospedali sul territorio. Adesso siamo in attesa che i fondi europei possano essere utilizzati per un ampiamento delle aule per la didattica che ci consentirebbe un’ulteriore implementazione dei numeri degli iscrivibili".

Quanti studenti in più potrebbero arrivare?

"Premetto che questo è un disegno strategico che non riguarda solo l’università ma anche il ministero dell’Istruzione e della ricerca e la Regione ci chiedono di formare più medici e più infermieri. Noi stiamo cercando di fare la nostra parte con un grande sforzo, ma il requisito base è che ci siano anche le aule dove mettere i nuovi iscritti. Se si riuscisse a ristrutturare una parte di un corpo del Policlinico si potrebbero ricavare 4 o 5 aule da 200 posti l’una, non solo per Medicina ma per tutte le lauree di ambito sanitario".

La professione medica è ancora ‘attraente’?

"Credo che la vocazione dei giovani a fare i medici in Pronto soccorso dovrebbe essere un po’ più incentivata dal punto di vista remunerativo. Gli stipendi sono relativamente bassi confrontandoli a quelli degli altri paesi europei. Non a caso il numero di borse messe a disposizione in Italia per la medicina d’urgenza non sono state tutte coperte. Il lavoro di Pronto soccorso è difficile e molto stressante; nonostante stiano cambiando gli orientamenti giurisprudenziali i medici sono molto esposti a contenziosi, forse oltre il dovuto".

Professore, lei guida la facoltà da un anno, è già tempo di bilanci.

"Il ritorno in presenza al 100% è stato forse il momento di più grande gioia che possa vivere un docente. Rivedere gli studenti sui banchi universitari e nelle attività di tirocinio, con le dovute precauzioni, ha ridato impulso alla voglia di dialogo che è intrinseca nella natura della docenza. Le cose stanno ricominciando a funzionare e speriamo che non si debba mai più tornare a restrizioni. Credo sia stato un anno molto positivo anche per un’altra ragione".

Quale?

"Il numero di posizioni universitarie, soprattutto verso le cosiddette fasce più giovani che si apprestano alla carriera universitaria, sono state molto ben rappresentate. Abbiamo avuto un rilevante numero di ruoli di professori associati e di ricercatori di ‘tipo B’. Complessivamente abbiamo un numero di nuove leve e turnover elevato come non si era visto nel recente passato".