"Ogni crisi deve diventare un’occasione per riflettere a fondo sui nostri stili di vita"

Il vescovo Erio Castellucci: "Occorre estrarre da noi stessi tutte le energie migliori, magari con meno superficialità e più sostanza"

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di Stefano

Marchetti

La Pasqua di due anni fa è stata quella del dolore: la tragedia di una malattia che ha sconvolto le vite di tutti. La Pasqua dell’anno scorso ci ha trovati ancora in lockdown, fra zone rosse, timori E restrizioni. La Pasqua ormai alle porte si veste di angoscia per la guerra in Ucraina e il timore che il conflitto possa estendersi. Nel suo messaggio pasquale, l’arcivescovo Erio Castellucci prende a prestito le parole di una ragazza, Chiara, per ricordare soprattutto ai ‘grandi’ che chi fa la guerra ruba i sogni dei giovani. Tuttavia, anche se le guerre sembrano spegnere ogni speranza, la luce della Resurrezione di Cristo "apre la certezza che il sogno di un mondo sano, quando trova chi vi spende la vita, prevale sull’incubo di un mondo malato".

Don Erio, come vive questo tempo di nuove paure?

"Lo vivo come tempo della crisi, sapendo che in realtà le crisi denotano una situazione che è sempre in atto. Ci stiamo giustamente indignando per la guerra in Ucraina, anche se sulla Terra esistono decine di guerre che non ‘vediamo’, perché non ci riguardano da vicino. Cerco di pensare a quanto ci ricorda Papa Francesco, ovvero che ogni crisi deve essere anche un’occasione per ripensare i nostri stili di vita, il rapporto con l’altro, con l’ambiente e con Dio, e per riscoprire l’essenziale".

Anche stavolta sono i giovani a ispirare il suo messaggio. Perché?

"Perché i ragazzi pensano al futuro, e se il futuro è preso di mira sono loro i primi a sentirsi minacciati. Parlando con alcuni giovani nelle ultime settimane, ho avvertito come per molti di loro sia ulteriormente caduto l’orizzonte. Uno mi ha detto: ‘Ora non so più per quale scopo io stia studiando all’università. Quando avrò finito dovrò arruolarmi?’...".

Chi fa la guerra è un ladro di sogni...

"Ed è la cosa peggiore. Molte volte abbiamo visto ‘furti’ del passato, manipolazioni della storia, la copertura di misfatti. La pandemia poi ha sottratto pezzi di presente, ma si può ripartire. Rubare il futuro, invece, significa minare e opprimere la speranza".

E la Pasqua cristiana cosa ci insegna?

"Che in tutte le crisi c’è una possibilità di resurrezione. Non è automatico ma occorre estrarre da noi stessi tutte le energie migliori, purificate, magari con meno superficialità, meno pregiudizi, più sostanza".

Ma secondo lei si stanno facendo davvero dei passi verso una soluzione di pace? Come giudica l’aumento della spesa in armamenti?

"È come quando allo stadio qualcuno scatta in piedi per vedere meglio un’azione, e gli spettatori alle spalle si alzano pure: alla fine, tutti vedono come se stessero seduti. La corsa al riarmo segue lo stesso meccanismo: l’escalation bellica porta tutti ad alzare la quota di risorse per le armi, ma in fondo tutti si troveranno di nuovo allo stesso livello. Allora qualcuno alzerà ancora un po’ l’asticella, e si riprenderà. È davvero triste".

Per la pace servirebbe un miracolo?

"Ci vorrebbe il miracolo della ragionevolezza, ma assistiamo sempre all’ordinario della pazzia".

Già la pandemia è stata una grande prova. Quali conseguenze ha portato?

"Da un lato si è creata una sorta di paura che può tradursi in cautela o in diffidenza verso chi ci sta vicino, dall’altro si è radicata la consapevolezza che nelle difficoltà ci si può aiutare a vicenda: molte persone hanno provato cosa significhi condividere o portare gesti di attenzione verso altri che magari non conoscevano".

La pandemia ha lasciato anche più povertà?

"Sì, e ce ne accorgiamo dai numeri di coloro che si rivolgono alle parrocchie e alle Caritas. Nel periodo più difficile le richieste sono state quasi raddoppiate, e oggi non riguardano solo vestiti o cibo ma anche sostegno per il pagamento delle bollette o altre spese. Nel quotidiano, senza troppo clamore, la Chiesa si impegna".

A fine maggio, la Chiesa modenese celebrerà la beatificazione di don Luigi Lenzini, ucciso nel luglio ‘45 da ex partigiani. E la cerimonia si terrà in piazza Grande...

"Sarà un momento di Chiesa altissimo e molto significativo. Don Lenzini è noto per la sua fine tragica, barbara: leggendo i tratti della sua vita e i suoi scritti, si nota che era un uomo del suo tempo, inserito in tutte le problematiche di povertà e di guerra, ma pure profondamente spirituale. Il martirio ha posto il sigillo su una vita già totalmente spesa per il Signore".

Nello stesso periodo si terrà l’assemblea della Conferenza Episcopale italiana. Cosa si aspetta?

"Si dovranno mettere a punto le priorità del secondo anno del Sinodo, scegliendo gli argomenti emersi dal confronto nelle diocesi. Poi si discuterà degli abusi negli ambienti ecclesiali, cercando di assumere ulteriori orientamenti rispetto a ciò che è stato fatto negli ultimi anni, si parlerà della formazione del preti nei seminari e ci sarà la votazione della terna per il nuovo presidente, da presentare al Papa".

E il suo nome continua a circolare. Se le chiedessero di assumere l’incarico?

"In questo momento sto cercando di seguire da vicino il Sinodo: farei fatica a tenere insieme tutto. Confido che ci si orienterà verso qualcuno che possa avere maggiori disponibilità di tempo".