Per Legambiente non si può più aspettare «Ripulire i fiumi e insistere sulle rinnovabili»

SONO ormai 10 anni che l’Emilia-Romagna subisce alluvioni ed eventi climatici estremi. L’ultima ondata di maltempo certifica solo il fatto che «l’emergenza climatica e idraulica sia ormai altissima». A dirlo è Legambiente Emilia-Romagna, che in una nota mette in fila le principali alluvioni che hanno colpito la regione nell’ultimo decennio, evidenziando come «tutto il territorio sia estremamente fragile e ad alto rischio». Del giugno 2011 è l’alluvione tra Sala Baganza, Fornovo e Collecchio nel parmense, che fece un morto. Nel giugno 2013 toccò Rimini, un altro morto, e poi nel gennaio 2014 l’allagamento di Bomporto, a Modena, con circa 10.000 evacuati. Nell’ottobre 2014 esonda ancora il torrente Baganza a Parma, mentre nel settembre 2015 colpite dall’alluvione sono Nure Trebbia e Aveto, nel piacentino, con tre morti e vari paesi in ginocchio. Nel febbraio 2017 si rompe l’argine dell’Enza a Brescello, nel reggiano, con oltre mille sfollati, a cui segue l’esondazione del torrente Parma a Colorno. Del febbraio di quest’anno è invece la rottura dell’argine del Reno a Bologna, fino ad arrivare all’esondazione del Savio di questi giorni e la rottura del’argine del Montone nel forlivese. «In tutti questi casi si è parlato di eventi con portate idriche anomale o mai registrate prima- sottolinea Legambiente - tuttavia la frequenza è tale che ormai occorre interrogarsi sul significato del termine ‘eventi estremi’, dato che quella che si registra sembra piuttosto una situazione di normalità con cui bisognerà convivere».

Per correre ai ripari e ridurre il rischio idrogeologico in Emilia-Romagna, Legambiente propone tre azioni «non rimandabili». Prima di tutto, «accelerare nella lotta ai cambiamenti climatici per evitare che la situazione peggiori. Il nostro Paese e gli enti locali devono fare di più, basta evidenziare come la crescita delle rinnovabili in Italia sia praticamente ferma da alcuni anni e in recessione nel 2018». Bisogna poi «agire con investimenti adeguati a tutela del territorio e per la prevenzione - sostiene Legambiente - le principali opere pubbliche devono andare in questo senso e non certo a portare nuovo cemento, che può solo aumentare i rischi». Infine, aggiungono gli ambientalisti, occorre «prendere atto che la salvaguardia dalle alluvioni non può avvenire solo con la costruzione di nuove opere artificiali lungo i fiumi come fatto fino ad oggi in una stagione di pianificazione miope». Al contrario, «è necessario rinaturalizzare i corsi fluviali e ridare loro spazio, sia rimuovendo gli edifici costruiti nelle pertinenze fluviali con scelte urbanistiche scellerate, sia ampliando gli spazi esondabili per favorire la laminazione naturale delle piene e ridurre i loro effetti nefasti sui territori. La stessa fragilità degli argini, più volte riscontrata, evidenzia infatti il limite dell’approccio solo ingegneristico».