
di Alberto Greco
Anche spore e pollini delle piante fossili possono rivelarsi utili strumenti per migliorare la conoscenza epidemiologica. Lo conferma uno studio, che ha visto coinvolti due ricercatrici dell’università di Modena e Reggio Emilia, la dottoressa Assunta Florenzano e la professoressa Anna Maria Mercuri del laboratorio di Palinologia del dipartimento di Scienze della Vita.
I dati sul polline fossile di 19 paesi europei, grazie ad innovativo approccio di ’Big-data paleoecology’ (Bdp), ha consentito di valutare la mortalità della pandemia di peste nera, la più famigerata della storia che si stima abbia mietuto in Europa, Asia occidentale e Nord Africa dal 1347 al 1352, vittime tra circa il 50% della popolazione dell’epoca. I risultati ottenuti dal dato pollinico mostrano che gli impatti della peste nera non furono diffusi in maniera omogenea, ma variarono sostanzialmente da regione a regione. Sebbene la ricerca sul aDNA (DNA antico) abbia identificato Yersinia pestis come l’agente che ha causato la peste nera e ne abbia persino tracciato l’evoluzione nel corso dei millenni, i dati sull’impatto demografico della peste erano fino ad oggi ancora poco esplorati e poco compresi. La rilevanza dello studio cui ha collaborato un team internazionale di ricercatori, guidato dal gruppo Paleoscience and History del Max Planck Institute for the Science of Human History (Germania), ha suscitato l’interesse di Nature Ecology and Evolution, prestigiosa rivista scientifica, che ne ha pubblicato i risultati.
La ricerca ha riguardato l’analisi di campioni di polline da 261 siti localizzati in 19 Paesi europei moderni per determinare come i paesaggi e l’attività agricola, allora prevalente al 75%, siano cambiati tra il 1250 e il 1450 d.C., ovvero da circa 100 anni prima a 100 anni dopo la pandemia. La loro analisi supporta la devastazione subita da alcune regioni europee, ma mostra anche che la peste nera non ha avuto un impatto uguale su tutte le regioni. Le differenze nella mortalità della peste nera evidenziano, infatti, che la peste era una malattia dinamica, con fattori ecologici, climatici, culturali ed economici che ne mediavano la diffusione e l’impatto. "Quanto più studiamo il passato tanto più capiamo il presente e ci accorgiamo che le generalizzazioni sono solo vaghe ricostruzioni. Il dato pollinico invece ci ha mostrato che non esiste un modello unico di pandemia che possa essere applicato in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, indipendentemente dal contesto" commenta Mercuri. "Le pandemie – continua – sono fenomeni complessi che hanno storie regionali e locali. L’abbiamo visto con la pandemia attuale e ora lo abbiamo mostrato per la peste nera". Gli autori dello studio sono convinti che sempre più studi dovranno utilizzare i dati paleoecologici per capire come queste variabili interagiscano per plasmare le pandemie passate e presenti.