Il 22 aprile del 1945, le truppe americane entravano in una Modena festante, la guerra era finita. Le giornate erano una scuola di vita che faceva diventare grandi in fretta i ragazzi di San Lazzaro, c’era Franco, detto Rita perché si era invaghito di Rita Hayworth, c’erano Firpo, Gigi, Paradisi, che scorrazzavano in una Modena falcidiata dai bombardamenti. Ci si ingegnava per portare a casa qualcosa e ci si divertiva con poco, tirando due colpi ad un pallone, facendo a secchiate d’acqua, andando a gamberi nei canali e a pesci in Panaro. La città stava cambiando e non era semplice sbarcare il lunario, ma c’era anche voglia di leggerezza e nella Villa dei Toni all’angolo con Via Campi, sede del comando americano e prima ancora di quello tedesco, alla sera si proiettavano film, sognando per qualche ora l’America. "San Lazzaro, era un piccolo borgo dove tutti si conoscevano, molto diverso da oggi. – Racconta l’87enne Carlo Alberto Firpo, che allora era ragazzino. – Da Largo Garibaldi verso est c’era il ponte della Pradella e l’osteria omonima, un poco più avanti il cimitero degli Ebrei. Subito dopo via Valdrighi una piola chiamata ‘Calabria’ e ancora oltre, dopo via del Gambero e la scuola della maestra Bisi, con il Gruppo Rionale. Di fronte, il bottaio Renzi con una stradina (ora via Bonacini) che portava in via Pelusia e dopo la ferrovia un gruppo di case vecchie, con Scaramèla che aggiustava le biciclette, la casa con il pozzo, villa Sandonnino, la casa del Dazio, il Bar Mazzoni, la drogheria Verri, l’Americano, la casa ‘delle tre ochine’, fino al Mulino e alla villa dei Toni". E c’era la Chiesa di San Lazzaro che rimarrà al suo posto, risparmiata dalle bombe e dalla cementificazione. Vi officiava Monsignor Carlo Malerba che fu parroco dal ‘39 al ‘54. Sorta sulle ceneri di un lebbrosario del XII secolo, la chiesetta conserva i pregevoli affreschi eseguiti nel 1523 da Adamo e Agostino Setti.
Luca Bonacini