"Seggio ateo? Bufala Risarcita dopo 12 anni"

Barbolini fu accusata di aver tolto il crocifisso da un’aula alle politiche del 2008: "Travolta dai commenti, un’ingiustizia"

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La Corte d’appello ha stabilito che non era vero che Patrizia Barbolini e suo figlio Fabio Cervi avevano tolto il crocifisso dal muro del seggio elettorale: semplicemente il simbolo religioso in aula non c’era mai stato. Il suo ‘accusatore’, un esponente leghista, Domenico Razzaboni, è stato condannato al pagamento di 14mila euro tra risarcimento e spese legali in sede civile. "Quest’ombra – tira un sospiro di sollievo Barbolini – mi ha accompagnato per 12 anni, finalmente giustizia è fatta. Ho dovuto assumere tranquillanti e andare dallo psicologo per gestire una situazione personale davvero difficile". A ricostruire la vicenda è stato ieri mattina il suo avvocato Mauro Sentimenti. Barbolini – ex presidente del Consiglio comunale, già assessore e consigliere del Pd – nell’aprile 2008 era segretaria del presidente di seggio (suo figlio) alle scuole Baggi nel corso delle elezioni politiche. "Il rappresentante di lista per la Lega chiese come mai nell’aula non c’era il crocifisso, per poi trarre le sue conclusioni: ‘Sarà stata lei a toglierlo dato che è comunista, atea’". Al che Barbolini replicò: ‘Siamo qui a votare, non a messa’. Lo scambio sembra finire lì e invece viene riportato su un verbale dei carabinieri che raccoglie la testimonianza di Razzaboni. Nel verbale si fa esplicito riferimento al fatto che il presidente di seggio e la segretaria hanno rimosso deliberatamente il crocifisso dal muro. La notizia viene pubblicata su un giornale e fa il giro della città. Barbolini si sente vittima di un’ingiustizia, "sono stata travolta dai commenti dei concittadini", e decide attraverso il suo avvocato di sporgere querela, "perché in quell’aula il crocifisso non ci è mai stato".

La procura di competenza inizialmente decide di archiviare il procedimento "basandosi sul verbale dei militari giudicato attendibile". Sentimenti decide allora di avviare il procedimento civile davanti al tribunale di Modena. Dove il giudice ha ammesso la testimonianza dei tre carabinieri nel 2015. Giunge quindi la sentenza di primo grado che stabilisce che Barbolini e Cervi sono state vittime di diffamazione per una accusa senza fondamento, ma aggiunge – "è questo è il colpo di scena che finì alla ribalta delle cronache nazionali" – non è previsto alcun risarcimento: "La loro immagine non è stata lesa perché, secondo il giudice, essendo preponderante in Italia il principio di laicità tra i cittadini (nonostante l’80 per cento degli italiani si dichiari cattolico), togliere o lasciare un crocifisso dal muro lascia sostanzialmente indifferenti, per cui non vi è nessuna offesa". Il caso approda in corte d’Appello a Bologna nel 2017, che a luglio scorso ha corretto la sentenza di primo grado: "Viene confermato che Barbolini e Cervi sono stati diffamati, ma viene riconosciuto loro anche un risarcimento e il ristoro delle spese legali". Barbolini ora è soddisfatta: "Ho servito questo paese per 24 anni, nelle istituzioni e ora nelle associazioni. Mi premeva cancellare quest’ombra, sono stati giorni durissimi". Gianpaolo Annese