
Marcello Veneziani sarà domani alle 17.30 al Bper Forum Monzani
È una società senza eredi quella che Marcello Veneziani, giornalista e saggista, descrive nel suo ultimo libro, ‘Senza eredi. Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella’ (Marsilio, 2024), che presenterà domani alle 17.30 al Bper Forum di Modena, dialogando con il direttore del festivalfilosofia Daniele Francesconi.
Cosa l’ha portata ad affermare che siamo una società senza eredi?
"L’osservazione della realtà, nient’altro che la realtà. Viviamo in una società che rifiuta i maestri, i padri, la memoria storica e non riconosce nessuna eredità. Non solo a livello culturale, ma anche nella vita pratica. Si è spezzato il filo della continuità tra le generazioni, ci riteniamo tutti autosufficienti se non autocreati".
Come ha scelto la settantina di ‘saggi’ che compaiono nel testo?
"Non c’è un criterio, sono i gusti e i consigli di lettura di un lettore critico. Sono autori assai diversi nelle epoche e negli orientamenti, alcuni sono pensatori, altri scrittori, poeti, c’è qualche scienziato e qualche giornalista. La mancanza di eredi riguarda non solo loro ma tutti gli autori del passato, a partire dai classici. Stiamo in realtà voltando le spalle all’idea di cultura, di civiltà, di tradizione, che sono imperniate sul necessario legame tra maestri ed eredi e sull’appartenenza a un filo comune".
‘Non tutti ammirevoli, non tutti amabili’: a chi si riferisce?
"Tra gli autori di cui scrivo, ci sono anche alcuni ‘cattivi maestri’ o autori assai controversi e taluni anche poco amabili. E anche dei grandi, benemeriti autori esploro lati in penombra o sconosciuti. Ma arrivo a dire che è meglio leggere i cattivi maestri, magari con senso critico, che non leggere affatto; meglio perfino i cattivi maestri che gli influencer. Perché i primi sono ancora riferimenti culturali, i secondi orientano solo tendenze di consumo".
Lei scrive: ‘Non siamo eredi e non lasciamo eredi, siamo tutti contemporanei al massimo coinquilini’: allora cosa ne sarà di noi?
"Una società che vive totalmente immersa nel presente non va da nessuna parte, ripiega su se stessa, non lascia tracce. Si perde nel suo nichilismo, nella sua cinica ignoranza. Da qui la necessità di pensare oltre questa mentalità distruttiva e ricollegarci al passato, al futuro, alla cultura. In questo senso l’annuncio di un ritorno umanistico nella scuola mi è parso un segnale confortante di controtendenza".
Perché un libro così pessimista, dove vede la speranza?
"Non è un libro pessimista, descrivo una situazione reale e nel capitolo finale auspico un risveglio, una ripresa di coscienza, la nascita di un nuovo pensiero; la necessità da una parte di ‘mettere in salvo’ il patrimonio ereditato dall’altro di ‘mettere al mondo’ un pensiero neonato. Ho sfiducia nelle cose penultime, ma ho fiducia nelle cose ultime...".