
Falso bio, perché tutti furono assolti I giudici: "Accuse troppo generiche Nessuna prova che fosse una banda"
"Accuse generiche, non provate, più credibile una lettura alternativa della vicenda". Sono alcuni passaggi della motivazione della sentenza depositata nei giorni scorsi che ha portato all’assoluzione di tutti i 23 imputati del processo "bio", comprese una serie di ditte come la pesarese Fazoo mangini di Chiusa di Ginestreto.
Il pm aveva chiesto per loro pene complessive per 100 anni di carcere e sequestri di beni per 23 milioni. Tutti rispondevano di truffe transnazionali col vincolo dell’associazione a delinquere per aver commercializzato grano, soia, mais, girasoli, come "biologici" mentre non lo erano grazie a false attestazioni per spuntare prezzi maggiori.
Il collegio giudicante, il 16 dicembre scorso, non aveva creduto alle accuse assolvendo tutti perché il fatto non sussiste ordinando la restituzione di beni. Ora sappiamo anche perché il collegio giudicante ha gettato nel cestino 11 anni di inchiesta. Nella motivazione di oltre 130 pagine, il giudice estensore Franco Tetto scrive: "...si ritiene che l’articolata ipotesi investigativa, avviata e coltivata dalla procura, non abbia superato il vaglio dibattimentale poiché fondata su un substrato fattuale aspecifico e atemporale, reso palese dalla genericità descrittiva delle condotte addebitate ai singoli imputati e dalla estrema frammentarietà e sostanziale equivocità probatoria degli elementi acquisiti".
Il giudice continua: "Il pm ha suggestivamente interpretato questi elementi come indici sintomatici della sussistenza di una ’affectio societatis’ criminale (cioè di una associazione a delinquere ndr)". Ma il giudice Tetto fa anche un passo verso le tesi della accusa scrivendo che "è emerso il coinvolgimento di alcuni degli imputati in operazioni commerciali di importazioni dall’estero di prodotti sia biologici che convenzionali connotate dalla consapevole e deliberata violazione della normativa nazionale e comunitaria ma tuttavia la programmazione e in taluni casi la consumazione di reati di frode in commercio ha lasciato irrisolto un ragionevole dubbio in ordine alla riconducibilità degli stessi ad una preordinata e stabile collaborazione organizzata tipica di una struttura delinquenziale associativa rendendo plausibile una ricostruzione alternativa dell’intera vicenda nel senso del mancato superamento dei profili di rilevanza penale. Ne deriva l’assoluzione di tutti gli imputati".
In sintesi, i giudici hanno ritenuto "condivisibili i rilievi delle difese incentrati sulla mancata acquisizione di concreti e specifici elementi probatori di riscontro alle asserzioni del pm rimaste a livello di mero spunto investigativo riguardo all’esistenza di un gruppo organizzato all’estero che garantiva i complici italiani".
Il processo era cominciato sette anni fa mentre l’inizio delle indagini risalgono ad 11 anni fa. Si è svolto con numerosissime udienze, anche in epoca Covid, tanto che si svolse nei più larghi amibienti della Provincia, in viale Gramsci, vista la folta presenza di imputati e dei relativi avvocati.
Nove persone vennero arrestate (ai domiciliari), gli altri denunciati. Tra quelli finiti nei guai, anche imprenditori della nostra provincia, come Marcello Federici della ‘Fazoo mangimi’, l’azienda di Chiusa di Ginestreto, e Augusto Mentuccia, presidente del consiglio di amministrazione di ‘Suolo e salute’, la srl organismo di controllo che rilasciava le certificazioni bio. Per quest’ultimo (difeso dall’avvocato Paolo Biancofiore), il pm Cecchi aveva chiesto 6 anni di reclusione e stessa richiesta per Federici (assistito dall’avvocato Marco Baietta).
L’accusa aveva già manifestato l’intenzione di appellare la sentenza e, alla lettura delle motivazioni, "gli elementi per farlo non mancano di certo".