
Pesaro, in tanti sono rimasti vicini a Ridolfi. Qui in piscina a Candelara (Fotoprint)
Pesaro, 17 giugno 2015 - Giacomo Ridolfi, 21 anni, professione calciatore, è tornato libero da pochi giorni. Ieri era al mare con gli amici, spiaggia di Pesaro. Sta riassaporando il gusto di ridere ma anche il peso degli sguardi della gente. Che non sono neutri. Senza parlare, gli chiedono di Catanzaro, dell’inchiesta calcioscommesse che lo ha portato in carcere 3 giorni e altri 20 ai domiciliari. Poi dei giudici hanno stabilito che non aveva commesso colpe tali da meritare la cella. E che non può essere considerato parte di un’associazione a delinquere per truccare le partite di Lega Pro. Da squalo a pesciolino rosso di acqua dolce in meno di un mese.
Giacomo, partiamo dalla mattina del 19 maggio.
«Sento suonare il campanello. Guardo l’orologio. Sono le 5. Penso subito a qualche disgrazia. Sento mia mamma che parla al citofono e che dice Questura. Oddio, che sarà successo mi chiedo. Scendo dal letto, e vado a vedere. Entrano sei poliziotti in borghese. Mi dicono che la procura di Catanzaro mi sta indagando per calcioscommesse. Non capisco ma poi mi dicono di seguirli. Chiedo ingenuamente se devo andare con loro in questura e a che ora sarei tornato a casa. Mi dicono: guarda che devi andare in carcere».
Che cosa hai pensato?
«Che non poteva essere possibile. Non mi sentivo di aver fatto niente, doveva esserci un errore. Mi hanno fatto leggere il fermo e le intercettazioni. Ma non riuscivo ancora a capire. Ho pensato all’idea del carcere come alla fine del mio futuro, della mia vita a Pesaro, dei miei affetti».
Poi?
«Sono arrivato a Villa Fastiggi e mi hanno messo in una cella con altre cinque persone. C’era anche un campione di boxe. Io pensavo di essere in un film. Lo giuro. Non ero io, non ero in quel posto. E quando ho visto la tv, con i cartelloni dei malviventi dell’inchiesta, col mio nome in quella piramide, mi sono sentito solo, svuotato. E lì ho avuto il sostegno dei miei compagni di cella. Mi hanno dato coraggio, dicendomi che entro due o tre giorni sarei uscito, che ero un bravo ragazzo. E c’era chi mi aveva visto giocare. Non mi sono più sentito perduto...».
Sapevi che il magazziniere della tua squadra scommetteva sulle sconfitte? E non ti sembrava pazzesco oltre che illegale?
«No, ma voglio spiegarlo. La squadra perdeva sempre, io non giocavo mai, l’allenatore aveva perso il controllo dello spogliatoio. E sapevo che il magazziniere era uno scommettitore incallito. Il fatto che scommettesse sulla sconfitta era, se posso dirlo, nell’ordine delle cose. La squadra era allo sbando. Per questo gli ho mandato quell’sms sul rischio infarto dopo la partita persa. Poco prima in hotel, mi aveva detto di aver scommesso molto sulla sconfitta. Quell’sms era conseguente a quello che mi aveva detto, ma io l’ho inviato come battuta di fronte ad una squadra che purtroppo vedevo giocare in panchina e che perdeva sempre. Ma come potevo sapere che questo signore millantasse un mio coinvolgimento nelle scommesse. Quando sono entrato a fine partita ho pensato solo di dover fare qualcosa di bello per trovare posto anche nelle gare successive».
La Polizia ha trovato in camera tua molte ricevute di scommesse. Tu le facevi sapendo che da tesserato ti erano vietate. Perché?
«Non capivo la gravità. Pensavo che scommettere su altri campionati o altri sport fosse innocuo. Sapevo anche di metterci soldi che ragazzi della mia età non si potevano permettere ma in quel momento non mi sembrava grave. Non avevo capito niente, pensavo che quelle regole non fossero così drastiche. Mi sbagliavo, colpa anche della mia età. Ho 21 anni e le scommesse mi sembravano innocue. Ora ho una rabbia tale che non voglio nemmeno più passarci davanti ad una sala scommesse. Io con quelle cose ho chiuso per sempre. Aspetto che la giustizia sportiva valuti le mie responsabilità. Non nasconderò niente ma non voglio pagare per fatti penali che non ho commesso. Io con l’associazione mafiosa o la corruzione sportiva non c’entro niente».
Quando pensi di tornare a sudare su un campo di gioco?
«Il prima possibile. Sono in forza per due anni al Carpi ma non ho ancora avuto loro notizie. Li posso capire».
Cosa rimane di quei tre giorni di carcere?
«E’ stata una dura lezione. Direi che dall’alba del 19 maggio, Giacomo è diventato adulto».