PAOLO ERCOLANI*
Cronaca

Ragazzi, studiare serve per uscire dal ’carcere’

Paolo

Ercolani*

N

ell’ambiente gira l’aneddoto di quel professore che, al primo giorno di scuola, chiese agli alunni cosa significasse per loro studiare. Le risposte furono poche, tutte moralistiche (diventare buoni cittadini, rendersi utili nel lavoro, etc.). No, rispose il professore creando un certo scalpore fra i ragazzi: studiare vi serve a evadere dal carcere. Perché l’ignoranza è un carcere che rischia di imprigionarvi per tutta la vita alla volontà altrui. Vale anche oggi che esistono macchine capaci di leggere, scrivere ed elaborare molto meglio dell’uomo. Per capire fino a che punto ciò può costituire un problema, è sufficiente vedere quanto i ragazzi sono incarcerati nella realtà virtuale, talvolta ipnotizzati da quegli schermi colorati. Risiede qui la missione della scuola: ispirare pensiero, creatività e responsabilità etica. Quello che la tecnologia ancora non sa fare, e che oggi rappresenta il valore aggiunto che distingue l’uomo dal robot. Non le troppe nozioni, in questo la Rete è imbattibile, ma l’intelligenza e la responsabilità per usarle. Proprio nella nostra Pesaro sappiamo bene quanto sarà importante per i ragazzi questo tipo di intelligenza e di responsabilità: ripensando ai giorni infausti in cui morivano decine di persone al giorno per il Covid, ma anche oggi che quelle doti tornano indispensabili per salvare le vite ai ragazzi e ai loro famigliari.

Il compito non facile di noi insegnanti, oggi come ieri, è di dare ai nostri studenti le chiavi per aprire la porta del carcere. Pensiero autonomo e critico ed educazione civica sono quelle chiavi. Poi sceglieranno loro se e come usarle. Per essere padroni responsabili della propria volontà. Per contrastare con giudizio i vari virus del tempo odierno. Ma anche, un giorno, per liberarsi da noi.

*filosofo, Università di Urbino