
Amori con la leccia da 31 kg
Pesaro, 20 novembre 2016 - «Ho preso il pesce di una vita, lì su quella scogliera, ma fatico ancora a realizzare». Non è vero. Per un pescatore il pesce di una vita è sempre il prossimo. E la vita è lunga abbastanza per chi vi si dedica, perché vuole il filosofo che al conteggio del tempo vengano detratti i giorni trascorsi a leggere l’acqua.
«Chiamate il carro attrezzi», urlava la piccola folla di curiosi radunata sul molo quando Carlo Amori, in quel memorabile 5 novembre 2016, aveva ormai domato la leccia amia di 31 chili, fino a portarla a tiro di raffio. Mai vista una bestia simile. Le leccie sono pesci immigrati figli del riscaldamento globale. «Provengono da mari più caldi, come i pesci serra e i lucci di mare (una varietà di barracuda): Da una decina d’anni se ne prendono anche da noi», dice Amori, che dalla barca aveva allamato esemplari fino a 20 chili e stavolta il bestione l’ha preso dalla riva.
«La inseguivo da tre giorni, la vedevo cacciare al tramonto alla foce del Foglia, dove si spingeva anche per 50 metri. Scene incredibili sul pelo dell’acqua: il banco di cefali che esplode e la leccia che fa il vortice, come l’orca con le foche. Quel giorno c’era il garbino: sono andato giù alle 14,30. Ma ho aspettato fino alle 17 per il primo lancio. Dopo pochi tentativi la canna s’è piantata, era lei». Tecnica a parte, merito di un’attrezzatura come si deve, di un pesciolino finto di legno soprannominato ‘Delgado’, comprato a una fiera di settore e realizzato dall’artigiano Nazzareno Betti; di 300 metri di filo trecciato e di un finale 0,60, capace di tener botta nonostante un carico di rottura di 20 chili.
Alla foce del Foglia si radunano i predatori. Carlo in proposito vanta prede di tutto riguardo: una spigola di 6 chili, un pesce serra di 3,2. «Le spigole si stanno rarefacendo, come le loro prede. Colpa del prelievo indiscriminato di novellame. E poi trovano troppo traffico quando vengono a deporre a riva».
Pesarese di Loreto, stimato tecnico della Provincia in pensione, Carlo è prossimo ai 70 anni. Uomo riservato e ‘lucifugo’ (che teme la luce) come i suoi pesci, non frequenta i social, dove pure qualcuno ha sparso illazioni sulla sua cattura, peraltro super documentata. Ora frequenta più il mare, dopo avere battuto molti fiumi di questa terra, a partire dai torrenti dell’Appennino e dalla prima licenza del 1969. Le trote marmorate (la varietà alpina), la sua passione: quella di 4,3 chili allamata nel 1998 sull’Isonzo campeggia imbalsamata in salotto. Carlo in proposito, pescando a spinning, vanta prede di tutto riguardo. Al suo attivo anche un salmone del Danubio (Hucho hucho) di 9 chili preso in Austria. Qualche anno fa, una botta di vita: «A pesca di salmoni in Siberia, per festeggiare la pensione: ne ho presi dai 2 ai 7 chili, tutti a mosca».
Il segreto per catturare pesci grossi: «Fortuna, esperienza, intuito. Spesso va colto l’attimo». E poi la perseveranza, dopo tante battute a vuoto: «Ho fatto più cappotti io che lo stilista Valentino nella sua carriera». Carlo fedele anche alla sua creatura, il Circolo pesca Alcedo, di cui è presidente dal ’92: tanti ragazzi cresciuti secondo principi etici, battaglie in difesa dei fiumi, la pulizia annuale del Bosso. «I giovani sono migliori di noi, che portavamo a casa tutti i pesci; loro nascono già con il concetto del prelievo sostenibile». Ai giovani è pronto a lasciare il testimone: «Dopo quasi 25 anni, spero tanto che qualcuno prenda il mio posto».