MARCO SAVELLI
Cronaca

Tra fascismo, guerra e deportazione. Le lettere di Billi a Gigi per capire la storia

L’Istituto “Cappellini“ di Urbino ha pubblicato, a cura di Ermanno Torrico, un significativo epistolario scritto tra il 1941 e il 1945. Belisario Scipioni finì in un campo di prigionia in Germania, le sue missive erano dirette all’amico Luigi Micheli

L’Istituto “Cappellini“ di Urbino ha pubblicato, a cura di Ermanno Torrico, un significativo epistolario scritto tra il 1941 e il 1945. Belisario Scipioni finì in un campo di prigionia in Germania, le sue missive erano dirette all’amico Luigi Micheli.

L’Istituto “Cappellini“ di Urbino ha pubblicato, a cura di Ermanno Torrico, un significativo epistolario scritto tra il 1941 e il 1945. Belisario Scipioni finì in un campo di prigionia in Germania, le sue missive erano dirette all’amico Luigi Micheli.

Ermanno Torrico, narratore collaudato di vicende resistenziali, si misura stavolta attraverso il carteggio che accompagna una solida amicizia urbinate del secolo scorso con la vicenda mai risolta degli Imi – gli internati militari italiani nei lager tedeschi durante il secondo conflitto mondiale – valorizzando oltretutto lo scambio epistolare come fonte storiografica non sempre tenuta nella dovuta considerazione nelle ricostruzioni delle vicende dell’ultima guerra.

Parliamo dello scambio di lettere e cartoline tra due urbinati – Belisario Scipioni e Luigi Micheli, due dipendenti pubblici – pervenuto all’autore del volume Tra fascismo, guerra e deportazione stampato dall’Istituto “E. Cappellini“ di Urbino solo dal versante del Micheli anche se, come sottolinea Torrico, da quelle lettere che coprono l’arco di quasi quattro anni è per gran parte desumibile il contenuto delle repliche dello stesso Micheli allo Scipioni. Al di là della vicenda per certi aspetti esemplare di quest’ultimo "raccontata" dalle missive, a monte esiste da tempo una discussione su come inquadrare la vicenda dei militari italiani catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre. E cioè – su questo Torrico è esplicito nell’introduzione – se questa debba essere riconosciuta come una prima, embrionale, forma di resistenza al nazi-fascismo, stante l’ottanta per cento dei seicentomila prigionieri che rifiuterà di aderire alla Repubblica Sociale pur con la possibilità di un immediato ritorno a casa, oppure se debba essere considerata una somma di semplici vicende “individuali“ circoscritte all’esperienza della prigionia.

Questa la linea prevalente negli ultimi anni per cui "rimettere al centro della memoria pubblica il problema degli Imi – sottolinea Torrico riprendendo lo storico Nicola Labanca – non è semplice né facile". D’altronde, allontanandoli dal "campo delle Resistenze", finisce per restringersi pericolosamente anche "la base storica della nascita della democrazia in Italia".

Il racconto di Billi (Belisario Scipioni) al suo amico Gigi (Luigi Micheli) conferma questa ambivalenza: se, per certi aspetti, le lettere rinviano alla riflessione e alla maturazione di un giovane che aveva entusiasticamente aderito al fascismo e alla guerra e che, impegnato sul fronte jugoslavo, di fronte al disastro dei Balcani acquista progressivamente consapevolezza della vacuità e delle menzogne del regime, dall’altra, con la tragedia dell’8 settembre, segnalano la progressiva assunzione di responsabilità di un’intera generazione che comincerà a pensare con la propria testa contro il plagio e l’inganno del regime consapevole a quel punto che a rompersi era stato “lo Stato“ legato alla “retorica Patria fascista“ (Claudio Sommaruga) e a convincersi in non pochi casi ad aderire alla Resistenza armata. Entrambi socialisti nel dopoguerra neppure la scissione del 1964 del Psiup dal Psi romperà un’amicizia pressoché inossidabile: Billi aderirà al nuovo partito, Gigi rimarrà in quello vecchio. Diverse anche le scelte di vita: per Gigi, oltre al lavoro, ci sarà la famiglia – a sua nipote Torrico deve il recupero delle lettere dell’amico – mentre Billi non ne formerà mai una propria vivendo fino alla fine con sua sorella Gina.