Il suo nome era salito alla ribalta delle cronache perché la donna, una ultraquarantenne di Ravenna in passato confidente di Claudio Nanni, figurava tra quelle testimoni che avevano contribuito alla condanna del meccanico faentino rivelandone gli sfoghi circa il desidero di eliminare la moglie da cui si stava separando, la 46enne Ilenia Fabbri. E anche lei al tempo era in via di separazione con l’ex. Ma l’esito penale delle due storie, si è rivelato opposto. Perché se Nanni è stato condannato all’ergastolo anche in appello in qualità di mandante del delitto, l’ex compagno della ultraquarantenne in appello è stato assolto da tutti i reati (con conseguente annullamento delle statuizioni civili). Già dal primo grado il collegio penale del tribunale di Ravenna, a fronte di una richiesta della procura a 5 anni di carcere, lo aveva scagionato dalle imputazioni più pesanti: ovvero maltrattamenti aggravati e abusi, limitando la condanna a 4 mesi di reclusione e 400 euro di risarcimento per un singolo episodio di lesioni.
Mercoledì scorso la corte bolognese lo ha assolto pure da quest’ultima condanna così come chiedevano i suoi legali (gli avvocati Silvia Brandolini e Rocco Guarino) lamentando una legittima difesa o comunque uno stato di necessità. In buona sostanza secondo cioè quanto rappresentato dai difensori, visto che la versione fornita dall’imputato, al contrario di quella della donna, era stata considerata attendibile dal tribunale ravennate, qualora i lividi refertati nel marzo 2016 alla ex fossero stati davvero prodotti dall’uomo (7 giorni di prognosi), ecco che allora gli andava riconosciuto l’avere agito in presenza di una causa di giustificazione. Almeno nella lettura dei magistrati e in attesa di eventuale Cassazione, la vicenda sin qui sfata un luogo comune in voga soprattutto tra gli uomini: che la denuncia di maltrattamenti fatta da una donna, debba sempre e comunque approdare a una condanna. In questo caso gli episodi inizialmente attribuiti all’ex, andavano dal 2005 al 2016. "Una serie abituale di condotte" - si leggeva nel capo d’imputazione – tra percosse anche quando lei era incinta, minacce (ovvero che l’avrebbe eliminata e che si era meritata le mazzate), rapporti estorti con la forza e persino un dito rotto.
Ma anche umiliazioni come quando in una discoteca di Marina di Ravenna una donna, rivolgendosi a lui, avrebbe pronunciato queste parole: "Ieri sera eri a dormire da me e adesso fai finta di non conoscermi". O come quando in un’altra discoteca di Porto Fuori, lui all’ingresso si sarebbe allontanato con una sua conoscente. Da parte sua l’imputato in primo grado si era sottoposto all’esame della corte negando tutto e accusando la donna di ricostruzioni distorte. Vedi episodio alla discoteca di Porto Fuori: sarebbe stata lei a inveire solo perché lui parlava con una conoscente, giungendo addirittura a dare una schiaffo alla donna. Già il tribunale ravennate aveva messo a fuoco la questione credibilità nel cuore delle motivazioni della sentenza: ovvero era “fondamentale il narrato della parte offesa” in quanto “unico teste diretto dei fatti”. Per questo serviva un “vaglio rigoroso” visto che lei aveva “un interesse privato nella vicenda sia per i risvolti economici in qualità di parte civile ma soprattutto personali-familiari”. E in questo percorso, per la Corte erano state le testimonianze a offuscare “la credibilità” della donna “smentita in diversi episodi” e in altri ritenuta “poco credibile”. In definitiva, una vicenda “di forte conflittualità della coppia” con “numerosi interventi delle forze dell’ordine su richieste alterne” in grado di “prestare il fianco a strumentalizzazioni dell’uno o dell’altro”. Ma non certo - aggiungiamo noi - il clima che aveva portato all’omicidio di Ilenia Fabbri.
a.col.