Così don Paolo rilegge la vita di monsignor Codronchi

Una strada, un busto di marmo nel cortile dell’ospedale (opera del ravennate Angelo Bezzi) e un sontuoso monumento funebre in cattedrale: sono questi i “segni” in città che ricordano la presenza di mons. Antonio Codronchi, che fu arcivescovo di Ravenna dal 1785 al 1826. A questi si aggiunge ora ‘L’arcivescovo Antonio Codronchi. Beni ecclesiastici e politiche culturali a Ravenna tra Settecento e Ottocento’ (Longo Editore), uno straordinario “monumento di carta” curato da don Paolo Szczepaniak, attuale parroco di San Rocco, che mette a fuoco in tutti i suoi aspetti la figura di questo prelato al quale la città deve molto per la sua conduzione saggia e oculata.

Nel difficile periodo della invasione francese, quando il generale Augerau entrò a Ravenna con propositi non certo pacifici, fu l’arcivescovo Codronchi a fermarlo e a supplicarlo di non depredare la città dei suoi tesori e in altre occasioni dimostrò di agire tenendo sempre presente gli interessi di una comunità alla quale si sentiva fortemente legato al punto da rinunciare a prestigiose cariche. E infatti quando Napoleone, che lo insignì di numerose onorificenze, gli disse "Voi sarete il Papa delle mie conquiste", Codronchi gli rispose senza esitazioni "io non sarò che l’arcivescovo di Ravenna". Dopo la campagna napoleonica Codronchi commissionò a quattro artisti le grandi tele che la domenica delle Palme del 1821 fece collocare nel coro della Cattedrale e che rappresentano quattro dei suoi predecessori (Apollinare, Severo, Orso e Pier Crisologo). Subito dopo pensò al busto di Sant’Apollinare che fece eseguire, dopo il no di Canova, da Bertel Thorvaldsen. Grande spazio ha dedicato don Paolo alle otto “visite pastorali” effettuate da Codronchi dal 1785 al 1821.

Le “visite” del vescovo, infatti, non erano semplicemente occasioni per combattere eresie, per verificare la fedeltà del clero e per controllare i costumi dei fedeli, ma servivano anche per esaminare lo stato degli edifici ecclesiastici e la situazione economica delle chiese. Le quasi mille pagine del libro non devono spaventare il lettore che, una volta immerso nella lettura, trarrà un sicuro godimento toccando con mano arredi, suppellettili, libri che fanno parte del patrimonio delle chiese e delle canoniche. È incredibile la meticolosità con cui venivano registrati gli oggetti e ora grazie a questo straordinario lavoro di don Paolo è possibile alzare il velo su una realtà, spesso nascosta ai più, che coniuga fascino e storicità.

Franco Gàbici