Daniela Poggiali assolta per i morti in corsia: "Vorrei tornare a fare l'infermiera"

Le parole il giorno dopo la sentenza: "Non sono un serial killer". Ieri aveva commentato: "Ora mi godo la mia famiglia". In aula ha ripercorso la mattinata che diede il via all’indagine

Daniela Poggiali è tornata libera (Corelli)

Daniela Poggiali è tornata libera (Corelli)

Ravenna, 26 ottobre 2021 - "Adesso voglio pensare un po' a me stessa, godermi la mia famiglia. Poi mi piacerebbe, un domani, tornare a fare il mio lavoro. La speranza è sempre quella". Daniela Poggiali, da ieri tornata nuovamente in libertà dopo le assoluzioni dalle accuse di aver ucciso due suoi anziani pazienti, ha come progetto per il futuro di tornare a fare l'infermiera.

"Questa vicenda mi ha portato del dolore, ma non mi ha tolto la convinzione che io sia una brava infermiera e che possa fare di nuovo il mio lavoro, come facevo prima". Queste le prime dichiarazioni il giorno dopo l'assoluzione. La donna è stata radiata per le foto scattate con una paziente 102enne deceduta. E proprio su quegli scatti ha aggiunto: "Mi dispiace averli fatti, ho fatto uno sbaglio. Se tornassi indietro non lo farei più, per questo ho pagato. Mi auguro questa volta la Procura si metta l'anima in pace, se dovesse ricorrere aspetteremo". 

Daniela Poggiali assolta: sorride felice, ancora dietro le sbarre
Daniela Poggiali assolta: sorride felice, ancora dietro le sbarre

"Mi sento bene - ha aggiunto -, sono stata nella mia famiglia. Mi sto riappropriando pian piano della mia libertà e di quel sapore incredibile che ha la libertà dopo più di dieci mesi chiusa in un carcere". L'ex infermiera scarcerata era sottoposta a custodia cautelare dalla vigilia di Natale 2020. "Ringrazio sempre la buona giustizia. Ho avuto modo di tastarla a Bologna, di averne una prova. Mi dispiace solo che se questa vicenda fosse stata gestita in maniera diversa dall'Asl e dalla Procura di Ravenna a quest'ora non sarei stata dipinta come il serial killer e forse non sarei neanche finita a processo in tribunale. Però - dice ancora -  confido sempre nella buona giustizia e quindi confido che il giudice faccia delle buone motivazioni, affinché si possa mettere fine a questa vicenda".

"Non sono un serial killer"

"Scusate l'emozione, non sono abituata a stare davanti alle telecamere". La Poggiali si presenta in strada a Giovecca, nel pomeriggio, davanti ai giornalisti decisa, ma all'inizio le parole faticano a venir fuori, forse sono troppe le cose che vorrebbe dire. Si scusa prima di riorganizzare i concetti: "Ho appena visto mia madre, non sta molto bene e c'è anche quello".

C'è soddisfazione nelle sue parole quando parla di una linea che è sempre stata quella fin dall'inizio, confermata dai periti. "Sono caduta, mi sono rialzata, sono andata avanti". Un giornalista le chiede se ha mai pensato di scappare durante questi anni della sua vicenda processuale, "No, io non scappo, so che ho sempre avuto ragione. Ci ho sempre messo la faccia. Ritengo solo che in uno Stato dove la salute e il lavoro devono essere garantiti, un giorno qualcuno si sveglia e ti toglie la libertà per motivi che faccio ancora fatica a comprendere".

Poi si aspetta delle scuse da chi non l'ha difesa e che si è invece costituito parte civile contro di lei, "dopo quattro assoluzioni mi piacerebbe che dicessero due parole". Ammette che è giusto che "abbia pagato per gli scatti fotografici, con il licenziamento - poi si corregge -, una misura forse anche eccessiva".

E infine parla del "martellamento mediatico", nel quale veniva dipinta "come se fosse una serial killer. Ma io non sono quella persona lì".

Poggiali dopo la sentenza: "Sono felicissima"

Ieri aveva commentato così la sentenza: "Sono felice, felicissima del risultato: non poteva che finire così. Da domani mi godo la mia famiglia".  Le parole alle 18.10: la Poggiali ha appena appreso dalla voce del presidente della corte di essere stata assolta e scarcerata. Ancora dentro alla gabbia: e prima di potere tornare libera a tutti gli effetti, dovrà sbrigare le ultime formalità. Ovvero essere scortata dalla penitenziaria fino al carcere di Forlì, prendere i propri oggetti, firmare e salutare. Davanti a lei ci sono la sorella maggiore e il compagno Luigi: in lacrime di soddisfazione, incontenibili di abbracci verso gli avvocati della difesa e tutto il loro staff.

Daniela Poggiali ieri mattina durante i suoi sette minuti di dichiarazioni spontanee
Daniela Poggiali ieri mattina durante i suoi sette minuti di dichiarazioni spontanee

La giornata si era aperta molte ore prima sempre con le parole della Poggiali che, inaspettatamente, attraverso uno dei suoi legali aveva chiesto di potere prendere la parola. Un’autentica sorpresa anche per la corte tanto che la dichiarazioni non verranno registrate per motivi tecnici ma riassunte a verbale dal giudice a latere armato di metaforico taccuino. Nelle sue dichiarazioni, la Poggiali torna là dove tutta l’indagine era cominciata: 8 aprile 2014, giorno della morte della paziente 78enne Rosa Calderoni. Ed è la prima volta che lo fa in maniera così dettagliata. "Buongiorno a tutti – esordisce stretta tra i suoi due avvocati – se posso avere la cartella clinica della Calderoni per agevolare la mia memoria", chiede al presidente incassando un immediato via libera.  

Sette minuti di dichiarazioni spontanee

Poi va al punto delle sue dichiarazioni: "Volevo parlare di quello che è successo quella mattina quando purtroppo è deceduta la signora Calderoni. Sono stata contattata dal dottor Peppi poco prima delle 9: si trovava già nella stanza della signora, aveva notato che lei era in stato comatoso".

E così "l’ho aiutato a eseguire un primo esame obbiettivo: io ho rilevato i parametri vitali" vedi "riflessi agli stimoli motori. Lui ha descritto tutto in cartella clinica" per poi decidere di "eseguire una tac urgente: sono andata in guardiola per mandare via la richiesta".

Poi "l’ho raggiunto in stanza" e in quel momento è arrivata la case manager: il dottor Peppi ha quindi disposto un prelievo arterioso ma "io e la collega dalla giugulare non ci siamo riuscite: siamo andate in guardiola e il dottor Peppi" ha eseguito un "prelievo da arteria femorale che è una pratica medica". Alle 9.15 "una volta fatto il prelievo per l’emogas analisi", il medico "consegnò la siringa alla collega che la mise in una busta con del ghiaccio"; poi il dottore "mi ha disposto una fiala di Konakion (una vitamina sintetica) e io sono andata in guardiola per prendere una fiala da 100".  

Quindi "sono tornata in stanza, ho staccato la flebo da 500 di fisiologica e ho attaccato quella da 100 di Konakion: l’accesso in giugulare non funzionava". In quanto alla richiesta per le analisi, "aveva carattere di urgenza ma non urgentissima: perché altrimenti il prelievo sarebbe andato direttamente in rianimazione che avrebbe dato il risultato in tempo reale. Sono andata in guardiola per fare richiesta di questa analisi: quella mattina c’erano state altre richieste di emogas ad altri pazienti. Anche una mia collega aveva fatto un altro prelievo da mandare in laboratorio. Può essere che si siano accavallate le richieste" ma essere "accusata di avere sostituito il prelievo…. la sola idea mi sembra folle: non è successo, io ho preso il prelievo fatto alla signora Calderoni e quello ho inviato in laboratorio".  

a.col.