"Elmetti bellici, che passione: ne ho 500"

Il massese Werter Spoglianti ha iniziato a collezionarli nel 1991, e ancora non si è fermato: "Cominciai con quello di un soldato americano"

"Elmetti bellici, che passione: ne ho 500"

"Elmetti bellici, che passione: ne ho 500"

Per ogni elmetto, una storia. E’ questo che rende suggestiva, oltre che unica, la raccolta degli elemetti americani appartenuti a militari che hanno combattuto nel corso della seconda guerra mondiale, riuniti, insieme a tazze, borracce, gavette, giacche, in una stanza che sembra un museo in miniatura. Il massese Werter Spoglianti ne ha rintracciati, fino ad ora, oltre 500. "Una passione – confessa – ereditata da mio zio che faceva modellismo. Fu lui a regalarmi il primo aeroplano da assemblare. Da lì sono passato ai carrarmati". Poi sono arrivati i soldatini e ovviamente, come parte dell’abbigliamento, gli elmetti. La vera scintilla scocca a casa di un collezionista, qualche tempo dopo. "Lì vidi il primo elmetto vero. Era americano e risaliva al secondo conflitto mondiale". Il primo acquisto non si fa attendere. "Comprai il mio primo elmetto al mercato di Lugo – racconta Spoglianti. "Ricordo che tornai a casa in motorino, indossandolo. Era il 1991". Da quel momento, la raccolta non si è più fermata. "Non mi considero un collezionista – spiega –. Sono più un raccoglitore. In oltre 30 anni ne ho acquistati oltre 500, sempre oltreoceano, tramite aste su ebay o attraverso contatti diretti con i proprietari. Ogni elmetto porta con se una storia ed io la cerco".

Il lavoro di indagine è lungo e complesso ma allo stesso tempo entusiasmante. Spoglianti ha ricostruito, per ogni elmetto, una storia, completa o parziale. "Quella che ancora mi commuove di più riguarda un elmetto in cui, all’interno, è riportato un messaggio in corsivo, a matita, ovviamente in lingua inglese e che tradotto significa "Buona fortuna e buon anno". Sotto c’è il nome di chi lo ha scritto, Luella Bucchelli che indica anche il suo indirizzo, 1318 di Warren Street in una località del Michigan. Ho indagato. Attraverso il numero di matricola ho scoperto che quell’elmetto era inserito in un lotto prodotto nel dicembre del 1943 da una fabbrica di Detroit".

"All’epoca – prosegue – le ragazze che lavoravano negli stabilimenti militari scrivevano dei messaggi alla cieca, indirizzandoli a chi avrebbe indossato gli elmetti. Quel soldato, mentre era in guerra, ha ridipinto il suo, ma solo nella parte esterna per lasciare intatta la scritta di Luella che forse considerava un portafortuna. Chissà se finita la guerra, quei due si sono mai incontrati".

Quella stanza-museo, di storie così, ne è piena. Come quella del capitano veterinario che trasforma il suo cognome ebreo Kaplan, cancellato da elmetto e borsa, in King per evitare l’uccisione per mano tedesca dopo essere stato assegnato alla seconda ondata dello sbarco in Normandia, o del dentista inviato come medico in Nord Africa che, nella feroce battaglia dello sbarco di Anzio resta sotto il fuoco nemico per due lunghissimi giorni dai quali ne esce vivo ma traumatizzato al punto da non riuscire più a togliere il tremore alle mani pregiudicando il suo futuro. Ancora.

C’è il soldato Rickey che disegna a penna il volto della fidanzata sulla schiena del giubbotto, trovato a Castel del Rio, copiandolo da una fototessera e l’elmetto della tenente donna Dice, del Women Army Corp, inviata in Nuova Guinea, Filippine, Australia, pieno di dediche firmate dalle sue commilitoni.

"Ci piacerebbe creare un museo da sviluppare come una specie di grande libro vivente. Oppure – spiega Spoglianti che condivide la sua passione con la compagna Michela - creare un sito da arricchire con gli audio delle storie". Intanto sui social esistono già dei canali dedicati, la pagina facebook "M1 Helmet and History Study Room" e quella Instagram "werterm1helmetscollection".

Monia Savioli