
Grazie a lui, negli anni ’70, 35 case divennero chiese domestiche e i tossici si avvicinarono alla vita agricola. Poi quell’esperienza finì e D’Altri ottenne la dispensa dal celibato: "Decisi che era tempo di lasciare" . .
Fu il parroco a decidere che quel bambino, tanto bravo a fare il chierichetto, avrebbe proseguito gli studi in seminario per poi uscirne prete. Era il tempo in cui si stava concludendo il Concilio, ma la maggior parte delle gerarchie ecclesiastiche non ne aveva compreso spirito e contenuti, tanto che del vento nuovo della chiesa giovannea in seminario non si parlava. Guido D’Altri ha preso i voti in questo clima, ma lui l’aria nuova l’aveva colta, grazie anche a religiosi illuminati come padre Balducci, e poté attuarla grazie al vescovo Salvatore Baldassarri. Nacque così a Ravenna la Comunità di San Paolo, nel quartiere che da poco aveva visto la costruzione del nuovo stadio, dove trentacinque abitazioni divennero altrettante chiese domestiche e dove don D’Altri era messaggero di speranza e presto lo fu anche per i tossicodipendenti con l’esperienza della comunità agricola ‘La Casa’ a Villanova. Ma per il Vaticano le aperture di Baldassarri e D’Altri erano fumo negli occhi: l’arcivescovo dovette dimettersi, don Guido fece domanda di dispensa dal celibato, l’ottenne e trovò lavoro a Informagiovani senza però mai interrompere i contatti culturali con personaggi come don Ciotti, padre Zanotelli, padre Balducci e tanti altri.
A fine anni Sessanta le aperture conciliari trovarono ampio spazio a Ravenna proprio grazie a un vescovo illuminato come Baldassarri…
"C’erano anche varie esperienze in atto, su un versante però più sociologico, anche in collegamento con la comunità dell’Isolotto di Firenze con cui ero in contatto; come non ricordare don Ulisse Frascali e il suo Villaggio, don Enzo Tramontani e altri. La mia era un’esperienza diversa, di comunità, di avvicinamento alla gente, come mi chiese Baldassarri…".
Lei arrivò a Ravenna nel ‘68…
"Fu il vescovo a cercarmi dopo che mi avevano praticamente cacciato dalla chiesa dove ero cappellano, nel Cesenate. Presi tempo per valutare la sua proposta, nella riflessione mi aiutò un mese fra i tuareg con i Piccoli Fratelli della comunità di Spello. Al ritorno accettai e monsignor Baldassarri mi assegnò il nuovo quartiere che stava sorgendo, quello dello stadio. ‘Non c’è la chiesa, ne facciamo a meno, vai tu fra la gente, questa è la nuova Chiesa’ mi disse".
E cominciò l’avventura…
"Era ottobre, cominciai a suonare ai campanelli, la gente mi apriva la porta, piano piano nacque la Comunità di San Paolo, 35 abitazioni trasformate in altrettanti luoghi per la catechesi per i bambini e dove si ritrovavano le comunità dei condomìni. Poi in via Nervesa ristrutturammo un’ex pescheria e la trasformammo in luogo dove dire la messa; venne Baldassarri all’inaugurazione, sorpreso per la tanta gente presente. Di lì a poco ristrutturammo anche la piccola cappella di Ponte Assi".
Esperienza irripetibile oggi! "Non è detto… Il bisogno di spiritualità c’è ancora, occorre farlo emergere… Occorre immergersi in mezzo alla gente…".
Lei aveva compreso fin da subito le novità conciliari.
"In quel periodo ero al liceo Classico nel seminario regionale di Bologna. Per i docenti il Concilio non esisteva, io feci l’abbonamento alla rivista ‘Testimonianza’ di padre Balducci: mi arrivava con le pagine strappate dalla censura del rettore, ex cappellano militare! Per dirle il clima in cui sono cresciuto, accanto alla tv c’era un prete che quando c’era una notizia o un programma ritenuto sgradito o immorale, spegneva!".
Che anni erano?
"Dal ‘60 al ‘64, il Concilio era iniziato nel ‘62. Io terminai il corso di studi di teologia e fui ordinato sacerdote il 30 agosto del ‘64 a 25 anni".
Per la chiesa dell’epoca nulla poteva essere messo in discussione…
"Nei piccoli paesi come Montiano, sulle colline del Cesenate, dove sono nato, il parroco era l’autorità che sovrintendeva all’ordinato svolgersi della vita del mondo contadino. Se babbo Giovanni o la mamma, Benedetta, dovevano lavorare nel campo alla domenica andavo io dal parroco a chiedere il permesso. Fin da bambinello frequentavo la parrocchia, facevo il chierichetto. E fu il parroco, finite le elementari, a dire ai miei genitori che io dovevo entrare in seminario e diventare prete. E le dirò che nonostante il clima repressivo non ho avuto esitazioni, vissi una lenta maturazione verso la vocazione…".
Lei aveva 5 anni al passaggio del fronte, che ricordi ha?
"Il babbo aveva costruito un rifugio in mezzo ai campi, la casa era su un cocuzzolo e fu bombardata. Pensi che un giorno, mentre ero col babbo per rifornirci di acqua dal pozzo, arrivò una granata che colpì la vera…! Noi ci salvammo. Ricordo bene l’arrivo degli inglesi preceduto dalla fuga, di notte, dei tedeschi, era il 10 ottobre del ‘44".
Da sacerdote quale fu la sua prima destinazione?
"Cappellano a San Marco in Valle, vicino a Cesena, ma a contatto con la gente, con i problemi dei contadini, ad esempio i mezzadri che di nascosto tenevano prodotti per sé e chiedevano lumi al prete, capii subito che la Chiesa non aveva risposte, era ferma al medioevo mentre il mondo era cambiato. Cercai di rimediare, ma il vescovo mi diede l’aut aut: o vai a Roma o cambi parrocchia. E fu lì che mi contattò Baldassarri".
In quei primi anni 70 Ravenna cominciò a conoscere la diffusione dell’eroina…
"Incontrai un capo scout che conoscevo e che era appena rientrato dal servizio militare in Marina: ‘La naja mi ha regalato la droga’ mi disse e mi invitò ad andarlo a trovare in piazza San Francesco. Cominciai così a conoscere quei ragazzi che si bucavano e decisi che occorreva intervenire. Cominciai anche a incontrarli in carcere… Pensi che a Ravenna cominciarono a chiamarmi prima il prete dei drogati e poi il prete drogato! Nacque così l’idea della comunità agricola, in via Viazza…".
La prima comunità per tossicodipendenti nella nostra regione.
"Il sindaco Canosani ci aiutò, demmo vita a una azienda agricola, avevamo duemila conigli! Il lavoro serviva ai ragazzi… All’inizio le comunità private erano osteggiate, il Pci difendeva il ruolo esclusivo dell’azione pubblica sul fronte della tossicodipendenza. Poi lo stesso Berlinguer nel gennaio del 1983 cambiò idea, lo disse proprio qui in piazza a Ravenna! Io all’epoca ero in contatto con don Ciotti e il gruppo Abele".
Ma l’orizzonte si andava offuscando, quanto è durata l’esperienza della comunità di San Paolo e della ‘Casa’ di via Viazza?
"Furono esperienze entusiasmanti, fianco a fianco con Baldassarri, ma con la sua cacciata, nel ‘75, fu tutto più difficile e nel 1985 calò il sipario. Fu il nuovo arcivescovo, Tonini, mandato dal Vaticano a restaurare la tradizione, che mi costrinse a lasciare, si autonominò parroco di San Paolo, ovvero della chiesa che aveva fatto costruire, in via Berlinguer. E contemporaneamente fui costretto a chiudere anche con la comunità di via Viazza perché subentrò Tonini incorporandola nel Ceis".
A quel punto lei cosa fece?
"Decisi che era tempo di lasciare la chiesa, riuscii a ottenere un posto a Informagiovani, era il 1986-‘87, poi chiesi al Papa la dispensa dal celibato e mi fu accordata, anche se sono rimasto sacerdote. E a fine anni ‘90 mi sono sposato".