ANNAMARIA CORRADO
Cronaca

"La fede, un fuoco che non si è ancora spento"

Suor Anastasia guida il convento delle carmelitane: "L’incontro con Dio in terza liceo. Ero una ragazza sportiva: ho ripreso col tennis"

"La fede, un fuoco che non si è ancora spento"

Sorride suor Anastasia mentre racconta la sua vita e quella del convento, delle monache Carmelitane di via Guaccimanni, dove è entrata nel 1987 e che ora guida. Caterina Cucca, ravennate, ha scelto il nome Anastasia perché significa resurrezione.

Suor Anastasia, quanti anni aveva quando è entrata in monastero?

"Venti, oggi ne ho 56. La decisione l’avevo già presa alla fine della scuola, ma ero giovane e la madre di allora, e anche mia madre, mi invitarono ad aspettare. Dopo la maturità ero stata un anno in Germania per un corso di studi europei. Fu un’esperienza interessante con studenti da tutta l’Europa. Ma io in testa avevo solo le suore".

Era giovane, come ha fatto a riconoscere la vocazione?

"L’incontro con il divino è stato dirompente, come l’accendersi di un fuoco che, grazie a Dio, non si è ancora spento. Perché il rischio è venire incendiati da un grande fuoco d’amore che poi si esaurisce. Per me non è stato così, nonostante i momenti di crisi, anche molto difficoltosi, che ho dovuto superare".

Quali sono stati i momenti di crisi?

"Sono entrata a 20 anni e non avevo avuto tempo di prendere coscienza di chi ero, di come ero fatta, di cosa volesse dire essere suora. Le suore tra l’altro non mi erano mai piaciute molto, da quando ero bambina. E’ stato difficile attraversare le fasi di crescita, anche solo dal punto di vista fisico, prendere consapevolezza del mio corpo di donna, doverlo fare con un abito che mi copre completamente, negli spazi stretti di una clausura molto più severa di quella di adesso. Intanto si sviluppava la mia psiche di donna. Il punto nevralgico è l’affettività: non sapevo cosa fosse davvero l’amore tra uomo e donna e mi sono trovata a 22 anni, ad esempio, a fare il voto di castità, senza sapere veramente cosa fosse".

Come è riuscita a venirne fuori?

"Il convento ti mette di fronte a te stessa in maniera molto più forte, qui tutto è esigente, tutto ti chiede di stare davanti alla realtà, a te stessa, agli altri, a Dio in maniera leale e franca. Non ci sono nascondigli, anche se c’è chi pensa che qui ci nascondiamo. Il mio corpo voleva risposte, mi ha salvato il fatto che qui ci fosse una palestra".

Una palestra in monastero?

"C’era dalla fine degli anni 70 con anche un punching ball e io l’ho sfasciato. Mi sono salvata con il punching ball, la cyclette e vangando l’orto. Ma era solo l’inizio dei guai".

In che senso "solo l’inizio dei guai"?

"Si era risvegliata la parte più sottile di me, spirituale, psichica. Dovevo farci i conti. E’ accaduto dopo il 1995, quando avevo preso i già i voti perpetui. Era necessario che la parte spirituale trovasse posto in un corpo e in una psiche se non pacificati, almeno armonizzati. Nel 2001 ho cercato un aiuto esterno, le madri erano aperte, qui non ho trovato un ambiente chiuso, non avrei resistito. Ho iniziato un percorso di analisi e ho fatto un viaggio interiore lungo e bello. Nel frattempo ero diventata madre, non si trattava più di aiutare me, ma anche il gruppo di sorelle".

Quali complessità ha dovuto affrontare invece alla guida del monastero?

"Ci sono stati due momenti, il primo a dire la verità quando ancora non c’ero, negli anni dopo il Concilio. All’epoca c’era una madre illuminata che ha aiutato la comunità a fare i primi passi verso l’apertura. Ad esempio due sorelle hanno cominciato a uscire per imparare l’arte dell’iconografia, sono arrivati professori dall’esterno per la formazione teologica. E poi la lettura assidua dei giornali, quelli cattolici, l’attenzione alla vita politica".

L’altro?

"Quando sono diventata ‘madre’, era il 2009, abbiamo cominciato a sentire come comunità l’esigenza di trasmettere la nostra esperienza spirituale all’esterno, di aprire l’esperienza della preghiera alle persone. Sentivamo l’urgenza di uscire verso l’esterno e di accogliere all’interno. È stato un passaggio lento e difficile".

Perché è stato così difficile?

"C’erano ancora diverse sorelle anziane e per loro pensare la clausura in una forma nuova era come un tradimento".

Entrò in monastero a 20 anni, il progetto però risale a prima.

"In terza liceo linguistico sono partita per un anno di studio in California. L’incontro con Dio è avvenuto lì, attraverso la mia insegnante di biologia, che tra l’altro era protestante. Mentre parlavamo tirò fuori dalla borsa il Nuovo testamento. Nell’attimo in cui mi ha citato un passaggio da una lettera di San Pietro in cui dice ‘Il Signore ha cura di te’, i movimenti del mio cuore di adolescente, che chiedeva di essere amata, hanno trovato risposta e pace nell’apparire all’orizzonte di questo Dio. È stata una rivoluzione nel mio cuore".

E quando è entrata in monastero come hanno reagito familiari e amici?

"Nessuno capiva il perché. Ero piena di vitalità, sportiva, ero una promessa del tennis, ero negli scout, ero brava nello studio, riuscivo in tutto. Nessuno poteva sapere che il mio cuore gridava per il desiderio di un amore più grande e che questa risposta me la poteva dare solo Dio".

Lei ha da poco ripreso a giocare a tennis.

"Da un paio d’anni, per contrastare l’osteoporosi. Gioco con un amico che viene qui a messa. Mi avevano chiesto di pregare per un uomo che doveva affrontare un intervento al cuore e lui, una volta guarito, è venuto a trovarmi. Era un appassionato di tennis, si è ricordato di quando mi allenavo da ragazzina e mi ha regalato una racchetta. All’inizio giocavo qui, contro il portone. Ora, una volta a settimana, mi ‘travesto’ da tennista e vado al circolo Zavaglia. Qualche anno fa lessi di Flavia Pennetta, della sua storia, aveva vinto il Roland Garros. Era un periodo particolare per me e in quel momento mi si è accesa una luce, ho pensato che anche io avevo quella grinta e che ce l’avrei potuta fare. Senza saperlo mi ha aiutata".