Ravenna, omicidio Ballestri. Matteo Cagnoni sotto torchio per 8 ore / FOTO

Il dermatologo cade parecchie volte in contraddizione, incalzato dal pm D’Aniello. Tribunale pieno: gente in fila delle 7 per entrare. Tanti sussurri e foto ricordo

Matteo Cagnoni (Zani)

Matteo Cagnoni (Zani)

Ravenna, 24 marzo 2018 Ha preso in mano il bastone, cioè l’arma del delitto, alla vittima che, scoprendo degli intrusi nella villa di via Genocchi, avrebbe reagito a quella che definisce ‘la banda degli acrobati’, uomini ragno «strafatti di cocaina, gente che ti ammazza per cento euro» in grado di entrare da una finestra aperta dopo aver scalato una parete alta dieci metri senza scale né corde.

Una delle tante affermazioni dello show debordante messo in scena, ieri in Tribunale, da Matteo Cagnoni, accusato dell’omicidio della moglie Giulia Ballestri e deciso fino all’ultimo a non crollare al tappeto, seppure travolto dalle bordate del Pm Cristina D’Aniello e dell’avvocato dei Ballestri, Giovanni Scudellari, che lo hanno incalzato dalle 9,40 del mattino alle 18. L’aula del tribunale piena di folla, solo posti in piedi, tanti curiosi che scattavano con lo smartphone delle foto ricordo (FOTO).

Cagnoni ha riversato accuse infamanti sul primo amante della moglie, sulla base di voci che aveva raccolto. E ne ha attribuito alla moglie addirittura un secondo, di amante, col quale pochi istanti prima di essere uccisa potrebbe avere avuto un rapporto sessuale nella villa, usando al posto del materasso che non c’era i due famigerati cuscini verdi, giustificando così il sangue di lei di cui erano sporchi. Ma di questo amante, agli investigatori privati che aveva assoldato per stanare la ‘fuitina’ non aveva fatto menzione: «Mi vergognavo». Salvo far ascoltare agli amici («ma solo i due o tre più intimi») le conversazioni catturate in cui Giulia lo umilia dicendogli che non vuol più fare sesso con lui e che non gli piace l’odore della sua pelle.

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Ha ricordato telefonate ricevute dalla moglie, quella mattina del 16 settembre 2016, che non esistono. Ha ammesso contraddizioni, bugie ai figli; e sviste, clamorose, nelle tante lettere inviate e nel primo, infelice (ma è un eufemismo) interrogatorio sostenuto davanti al Gip di Firenze. Ha accusato la famiglia di Giulia di volerne coprire la fuga, o quella che ipotizzava come tale, quando in realtà erano i Ballestri che lo chiamavano per avere notizie da lui. E il sangue della vittima trovato sui suoi jeans? Macchie accidentali, ha detto, che risalgono a mesi prima del delitto, quando lei si tagliò con un vetro e venne medicata da lui.

Il difensore, Giovanni Trombini, di cui l’imputato ha rimarcato a profusione la grande amicizia, lo esaminerà lunedì. Look primaverile, spezzato chiaro e cravatta color perla. Si presenta così, davanti ai giudici della corte d’assise. Parlata sciolta, toglie il microfono dall’asta e parla tenendolo in mano come ai tempi dei convegni sulle malattie della pelle e delle comparsate in Rai.

Ha una risposta per tutto, il 53enne dermatologo. O quasi. Perché non può nulla contro la scienza. Come giustifica le sue impronte sul sangue della vittima? gli domanda il pm. «Posso solo dire che non sono le mie». E non dà risposte su due questioni dirimenti.

Le scarpe Hogan che calzava la mattina dell’omicidio, perché non si trovano? «Se torno in casa, a Firenze, sono convinto che le trovo». Sorrisi sarcastici e brusio fitto in aula. E così uno dei due cellulari, quello dell’ambulatorio; mentre di quello personale, come prevedibile, ricorda di averlo perso durante la fuga a piedi la notte del 19, «mentre saltavo una recinzione. Ero vicino a casa. Se non l’hanno trovato vuol dire che l’avranno rubato».