Minguzzi, la chiave in una voce: "Perizia fonica sbagliata e da rifare"

Ieri via all’appello per l’omicidio irrisolto da 37 anni del carabiniere di Alfonsine. L’affondo della Procura

Minguzzi, la chiave in una voce: "Perizia fonica sbagliata e da rifare"

Ieri via all’appello per l’omicidio irrisolto da 37 anni del carabiniere di Alfonsine. L’affondo della Procura

La battaglia decisiva si gioca su una voce: quella del telefonista che, trentasette anni fa, chiese il riscatto per la vita di Pier Paolo Minguzzi. È su questa prova regina, e sulla richiesta di una nuova perizia fonica, che ieri mattina si è aperto il processo d’appello davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Bologna. Il cuore del dibattimento ruota attorno alla possibilità di rimettere in discussione le conclusioni del perito di primo grado, il quale aveva escluso che la voce intercettata fosse quella di Orazio Tasca, uno dei principali imputati. Ma la Procura e le parti civili non ci stanno: insistono su nuovi esami per far emergere una verità diversa e per ribaltare l’assoluzione degli imputati, tutti assenti all’udienza di ieri.

Pier Paolo Minguzzi, studente universitario e carabiniere di leva, venne sequestrato la notte tra il 20 e il 21 aprile 1987, mentre rientrava a casa dopo aver accompagnato la fidanzata. Il suo corpo fu trovato nel Po di Volano dieci giorni dopo, il primo maggio, zavorrato a una grata per impedirne l’emersione. Per questo delitto furono accusati Angelo Del Dotto, Orazio Tasca e Alfredo Tarroni: i primi due, all’epoca carabinieri in servizio ad Alfonsine, e il terzo un idraulico del paese. Assolti in primo grado dal Tribunale di Ravenna nel 2022, ora sono nuovamente chiamati a rispondere di omicidio. Gli stessi, in passato, hanno peraltro già espiato la pena per l’uccisione di un carabiniere, sempre nel contesto di un altro tentativo estorsivo finito male a un secondo imprenditore di Alfonsine, Roberto Contarini, commesso appena tre mesi dopo il delitto Minguzzi.

La richiesta della Procura è chiara: invalidare la perizia del fonetista Luciano Romito, che ha sostenuto che la voce del telefonista che chiese i 300 milioni di lire di riscatto non fosse quella di Orazio Tasca. A sostegno della richiesta, il sostituto procuratore Marilù Gattelli e le parti civili, rappresentate dai legali dei familiari della vittima (avvocati Luca Canella, Elisa Fabbri e Paolo Cristofori), insistono sul fatto che il metodo utilizzato dal perito non sia scientificamente affidabile. Non solo: un consulente della Procura aveva ottenuto risultati diametralmente opposti, sostenendo che la voce fosse, invece, compatibile con quella di Tasca. La partita si gioca dunque tutta sul terreno tecnico delle analisi foniche, ma con implicazioni enormi: se la perizia verrà invalidata, si aprirà la strada a una nuova valutazione che potrebbe ribaltare la sentenza. Se disporla o meno, la corte presieduta dal giudice Orazio Pescatore lo stabilirà tra una settimana esatta.

Un nodo cruciale, secondo l’accusa, riguarda la metodologia adottata. Romito, professore di fonetica, ha utilizzato un sistema semiautomatico per il confronto delle voci, ritenuto dall’accusa valido a livello di ricerca ma non sufficientemente rigoroso per un procedimento giudiziario. La Procura sostiene che non siano state fatte comparazioni dirette tra le voci note e quelle ignote, bensì solo estrapolazioni di frammenti delle intercettazioni, valutate da un gruppo di persone non meglio qualificato. Inoltre, alcune telefonate che il consulente della Procura riteneva perfettamente leggibili sono state ignorate dal perito, che le considerava indecifrabili.

La difesa, dal canto suo, si oppone con forza a qualsiasi tentativo di riaprire l’istruttoria. Gli avvocati Gianluca Silenzi, Gerardo Grippo e Andrea Valentinotti, difensori rispettivamente di Del Dotto, Tarroni e Tasca, ritengono che il processo d’appello debba rimanere “cartolare”, basato cioè esclusivamente sugli atti già raccolti in primo grado. Secondo la difesa, il contraddittorio sull’attività peritale si è già svolto in modo corretto e trasparente durante il primo processo, e ripetere una perizia significherebbe prolungare inutilmente una vicenda giudiziaria che si trascina da troppo tempo.

Al centro di tutto resta la figura del telefonista. Era davvero Orazio Tasca la voce che chiese il riscatto per Pier Paolo Minguzzi, oppure la pista indicata dalla perizia – che parlava di un accento siciliano, ma della zona di Messina, distante da Gela, città di origine di Tasca – è quella corretta? La questione linguistica si intreccia con quella giudiziaria, e in questo processo la precisione scientifica diventa l’ago della bilancia per decidere le sorti degli imputati.

Lorenzo Priviato