No al chiosco davanti alla basilica Classe, il Tar dà ragione al Comune

La gestrice chiedeva più di 100mila euro di danni per essersi vista costretta a spostare l’attività

No al chiosco davanti alla basilica  Classe, il Tar dà ragione al Comune

No al chiosco davanti alla basilica Classe, il Tar dà ragione al Comune

Il chiosco delle piadine non ci può stare sul piazzale adiacente alla basilica di Sant’Apollinare in Classe. Lo ha ribadito il Tar di Bologna dando ragione all’amministrazione locale contro la quale una donna – disoccupata e con due figli a carico - aveva fatto ricorso lamentando quasi 107 mila euro di danni per essere stata costretta invece a spostarsi di alcune centinaia di metri in via Classense, cioè vicino alla ferrovia e lontano dai flussi turistici, pur avendo vinto lo specifico bando. Per lei nessun risarcimento quindi ma spese di giudizio compensate (non dovrà cioè pagare per avere perso) per quella che nella sentenza, pubblicata lunedì, è stata bollata come "condotta non lineare assunta dalle amministrazioni competenti, in particolare dalla Soprintendenza".

La ‘guerra della piadina’ andava avanti dall’aprile del 2009, da quando cioè il consiglio comunale aveva deliberato il piano di localizzazione chioschi. E tra gli spazi appetibili, ecco il parcheggio con vista basilica: area di sosta per pullman e auto ovvero "forte turnover di turist"”, si legge nella sentenza a firma del giudice Stefano Tenca. Nel documento il Comune, d’intesa con la Soprintendenza, aveva individuato le caratteristiche del chiosco ideale: di "planimetria ottagonale richiamante la conformazione di mausolei e battisteri" e con "precarietà della struttura, facilmente amovibile". Tutto pronto per l’avviso pubblico dell’1 settembre successivo. La signora si piazza al primo posto e nel febbraio 2010 una determina dirigenziale le aggiudica l’ambita posizione. Ad agosto 2011 presenta all’apposito sportello comunale "istanza per permesso di costruire". E, ben fiduciosa anche alla luce di un parere favorevole della Soprintendenza sulla localizzazione datato gennaio 2008, ottiene un finanziamento da 46 mila euro. La doccia fredda arriva a dicembre quando la Soprintendenza esprime parere negativo invocando la tutela indiretta di una specifica norma del 1951. La donna, poi rappresentata dall’avvocato Andrea Maestri, lamenta di essere stata a questo punto costretta ad accettare la soluzione alternativa in via Classense: zona non frequentata dai turisti e peraltro senza la possibilità di avvalersi di segnali di indicazione stradale. Un chiosco, a suo avviso, a bassa redditività sebbene lei avesse avvertito l’amministrazione del fatto che al momento era disoccupata e con prole a carico: condizione di fragilità economica che le aveva garantito "priorità di scelta nella graduatoria finale".

L’esito per le sue tasche è disastroso: per finire di pagare il chiosco prefabbricato, deve svendere sia l’auto che la casa della famiglia d’origine. Per questo arriva a lamentare più di 71 mila euro di danno patrimoniale e quasi 36 mila di danno non patrimoniale. E qui scatta il ricorso per "condotta inaccettabile, in quanto superficiale e contraddittoria" del Comune il quale, nonostante nel bando si facesse riferimento a una “semplice rimovibilità del manufatto”, aveva poi “previsto la necessità tassativa del permesso di costruire”, vietato in quella zona dalla norma del 1951. E dopo un iniziale avvio davanti al giudice civile, la causa trasloca per competenza davanti al Tar. Da parte loro Comune e Soprintendenza ribadiscono la legittimità dell’operato.

Sul piano della forma, i giudici bolognesi rilevano che il ricorso era stato proposto troppo tardi. Ma nella sostanza, "è comunque infondato" perché "si conviene con il Comune che il permesso a costruire fosse necessario". Del resto per il nostro chiosco "la permanenza per 10 anni esclude di per sé il carattere di precarietà" dato che comporta "una durevole modificazione dei luoghi". In tutto questo, "il Comune si è comportato diligentemente: non può essere attribuita alcuna colpa". Attenzione però: "L’amministrazione comunale non poteva prevedere che la Soprintendenza, in contraddizione con il parere rilasciato nel gennaio 2008 sul posizionamento del chiosco", cambiasse idea "con la nota del dicembre 2011" rilevando contrasti con la norma del 1951. Comunque sia, pure la Soprintendenza "è tenuta al rispetto della normativa urbanistico-edilizia". Insomma, per la piadina che non c’è, almeno per ora non arriverà nessun risarcimento.

Andrea Colombari