Non esistono scuole di serie A e scuole di serie B

La polemica di un gruppo di genitori, rivolta ad una scuola di secondo grado della provincia di Ravenna, sull’ubicazione di alcune aule dell’istituto tecnico a quello professionale, riporta in campo una realtà molto sconfortante che, come una spada di Damocle, pende sul mondo delle scuole professionali da troppo tempo: il loro continuo screditamento nel pensiero comune.

Inutile ricordare le molteplici possibilità formative e lavorative che offrono questi percorsi scolastici (la cui evidenza è riscontrabile ovunque), ma l’elemento ormai persistente nell’orizzonte comune, risiede nella difficoltà di far emergere il valore dell’esperienza umana e formativa caratterizzante tali scuole, in quanto continuamente offuscata dai continui pregiudizi.

È necessario precisare che, le difficoltà nell’affrontare l’attività didattica quotidianamente negli indirizzi professionali, sono numerose (non lontane da quelle presenti in altre scuole), ma i ‘disordini’ di cui spesso si sente parlare sono riferibili a casi isolati, mentre resto della comunità scolastica non si differenzia dalle altre né per capacità né per condotta. Non esistono scuole di serie A o di serie B, come del resto non esiste un’intelligenza più ‘intelligente’ di un’altra. È una questione di attitudine, di passione per cui il ragazzo attratto dagli studi umanistici si orienterà verso il liceo classico, mentre un altro con la passione per i motori verrà indirizzato verso gli istituti professionali senza, dunque, determinare una scala di ‘ranghi’ sociali in cui incasellare i nostri studenti. Concetti scontati, vero, ma che non sembrano essere radicati nella mentalità della nostra società, se non per discorsi di facciata.

Fin quando si continueranno ad usare espressioni come "questo ragazzo è da Ipsia" (solo perchè vivace), o si è sempre pronti a rimarcare le distanze dalle scuole professionali, non ci si può vantare di aver goduto di una formazione realmente efficace. A nulla serve imparare la Divina Commedia a memoria, se poi non se ne coglie il messaggio, facendolo riverberare come una cassa di risonanza nella propria mente, in grado di erodere quel muro che tende a renderci pigri e ottusi, accogliendo passivamente visioni della realtà prese in prestito. Ci si augura, dunque, che ognuno, soprattutto gli attori attivi nell’educazione dei ragazzi (docenti e genitori) comprendano che non esiste prestigio se non quello legato agli sforzi che impieghiamo per rendere migliori noi stessi e la società.

M. C.