"Parliamo ai grandi e facciamo ridere i piccoli"

Da oggi fino a sabato, all’Almagià, la compagnia Fanny & Alexander porta in scena ’Sylvie e Bruno’ di Carroll: "Ponte sul mondo post-Covid"

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La compagnia Fanny & Alexander ritorna al Ravenna Festival con un progetto articolato che ruota attorno a ‘Sylvie e Bruno’, terzo e ultimo romanzo di Lewis Carroll, il famoso autore delle due storie di Alice.

Dopo l’uscita ieri della traduzione per la casa editrice Einaudi di Chiara Lagani, drammaturga della compagnia, da oggi fino a sabato si passerà invece all’omonimo spettacolo, con la regia di Luigi De Angelis, che andrà in scena alle Artificerie Almagià di Ravenna alle 21.30 (con replica straordinaria venerdì alle 18).

In programma anche un incontro di presentazione del libro, sabato alle 18.30, in cui, oltre a Lagani, parteciperanno il responsabile editoriale di Einaudi, Mauto Bersani, e alcuni attori del cast.

Lagani, perché proprio un lavoro su ‘Sylvie e Bruno’ di Carroll?

"Era un desiderio che Luigi De Angelis e io coltivavamo sin da bambini. Si tratta di un romanzo un po’ sperimentale che rappresenta una sorta di testamento spirituale dell’autore, visto che gli costò ben dieci anni di ricerca. Raccogliendo un’infinità di materiali eterogenei, preoccupandosi di annotare tutto in un quaderno, il suo intento era quello di farsi guidare proprio da questi indizi, in modo che la ‘cornice’ narrativa arrivasse dopo".

Lo spettacolo, al pari del libro di cui è una traduzione teatrale, racconta due storie in parallelo. Quali?

"La prima è una vicenda d’amore ‘triangolare’ con in parte alcune caratteristiche del romanzo vittoriano, la seconda un racconto di fate che ha la ‘temperatura di Alice’, di cui Sylvie, una bambina, e il minuscolo e sgrammaticato Bruno, suo fratello, sono i protagonisti. Le due storie si ostacolano e si alimentano a vicenda, con l’escamotage del sogno di un signore anziano che fatica poi a distinguere quale sia la realtà".

Inevitabile chiedersi: c’è un richiamo alla realtà?

"Sì e non potrebbe essere diversamente visto che il progetto è frutto di un anno e mezzo di lavoro, durante le varie quarantene. Anche nello spettacolo, a un certo punto, si fa riferimento a una terribile misteriosa febbre, simile alla pandemia di questi nostri giorni. Anche noi, come l’anziano signore sempre più delirante, ci siamo trovati a far andare la mente in un altrove anche solo virtuale, rispetto al corpo costretto a un maggiore immobilismo".

L’idea dello spettacolo è successiva alla traduzione?

"Sì, ma anche parallela. Chi ci conosce bene sa che siamo bulimici quando un tema ci piace. Diventiamo quindi tenaci e compulsivi finché non sentiamo di averlo scandagliato in ogni suo particolare".

‘Sylvie e Bruno’ è riservato agli adulti o è godibile anche per i bambini?

"Carroll aveva l’utopia di scrivere per entrambe le categorie. Il suo è un romanzo onirico, in cui si incrociano diverse tematiche e livelli di lettura. Anche per noi è una sfida. Durante una prova, un bambino di 5 anni ha riso tanto e, alla fine, è riuscito anche a descrivere le scene che più ha amato. Speriamo che sia di buon auspicio".

Lo spettacolo è una coproduzione con Ravenna Festival e Ravenna Teatro. Le sinergie sono vincenti?

"Sì, soprattutto perché il pubblico ne ha bisogno. Siamo già al lavoro, anche con il Comune di Ravenna, per celebrare degnamente il trentennale della nostra compagnia".

Roberta Bezzi