Milano Marittima, dito tranciato mentre ballava al Pineta

A processo per lesioni colpose l’ex ’ad’ del locale. Il mignolo di una 22enne restò intrappolato in una griglia scendendo dal cubo

Discoteca (immagine generica)

Discoteca (immagine generica)

Milano Marittima (Ravenna), 28 ottobre 2021 - La scena è quasi da set di un film horror. E neppure la fantasia del regista di ’Una notte da leoni’ avrebbe potuto spingersi a tanto. La ragazza che balla sul cubo della discoteca e a un certo punto scende, un dito della mano destra le resta intrappolato in una griglia e le si strappa di netto. Nell’immediato lei non avverte dolore, ma gli amici la vedono sanguinare ed è il panico. Cercano il dito, col timore che qualcuno lo pesti. Un amico lo trova ancora impigliato tra quelle maglie d’acciaio, toglie la Grey Goose dal cestello del tavolo vicino e lo conserva nel ghiaccio, e in questo modo presentano il mignolo amputato al brigadiere che quasi fatica a crederci. Eppure non è la scena di un film, ma quanto accaduto la notte del 15 aprile 2017 al Pineta di Milano Marittima. Un singolare (e terribile) incidente per il quale il 40enne allora amministratore delegato della società che gestiva il locale si trova a processo per lesioni colpose, difeso dall’avvocato Massimo Martini.

La vittima è una giovane di Predappio, all’epoca 22enne, parte civile con l’avvocato Claudia Nanni. Secondo la ricostruzione dei carabinieri quell’amputazione se la sarebbe procurata verosimilmente scendendo dal cubo, ma proprio su questo aspetto è già battaglia tra accusa e difesa. In aula la giovane ha riferito una diversa ipotesi di dinamica, vale a dire che lei era già scesa dal cubo, c’era molta ressa e a causa di una spinta avrebbe infilato il mignolo nella grata e in quel momento se lo sarebbe strappato. Versione, questa, contestata dalla difesa. Secondo l’avvocato Martini, infatti, il mignolo era stato ritrovato dall’amico a un’altezza di due metri e mezzo, mentre la giovane è alta circa uno e sessanta. Ciò, nell’ottica difensiva, è dirimente perché dimostra che l’amputazione va attribuita non alla pericolosità della griglia bensì al fatto che, scendendo dal cubo, col dito rimasto incastrato in quella fessura, il peso corporeo della giovane protesa verso il basso ne avrebbe determinato il distacco. L’amica stessa della ragazza, che sarà sentita alla prossima udienza del 14 febbraio, ai carabinieri disse di averla vista perdere sangue dopo essere scesa dal cubo e subito glielo fece notare. I militari della locale compagnia, accorsi sul posto, attraverso una prova empirica avevano accertato che i margini di quelle forme ovali, unite tra loro a comporre una parete divisoria collegata tra pavimento e soffitto, non erano taglienti. E il cubo era piuttosto un piedistallo in acciaio utilizzato come tavolino.

Sebbene l’infortunio avesse riguardato non un dipendente ma una cliente del locale, sul posto fu chiesto anche l’intervento del personale Asl del ’Servizio di sicurezza negli ambienti di lavoro’, che impose al Pineta la rimozione o la copertura di quelle griglie, installate dal 2009 e che mai prima di allora avevano causato problemi. Un sopralluogo compiuto un mese più tardi portò ad accertare che alle griglie era stato applicato un pannello in plexiglas, eliminando così il rischio di ulteriori infortuni. La sera dell’incidente la giovane, attesa a lungo l’ambulanza che tardava, si recò prima al pronto soccorso di Ravenna e da qui al centro di chirurgia della mano del Policlinico di Modena, dove il mignolo le fu miracolosamente riattaccato, ma di cui ha perso la funzionalità.