Ponte Morandi Genova, il testimone. "Ho visto crollare i piloni"

Daniele Dubbini, ravennate, era in auto poco distante dal camion simbolo della tragedia

Ponte Morandi Genova, il testimone: "Ho visto crollare i piloni e poi il ponte"

Ponte Morandi Genova, il testimone: "Ho visto crollare i piloni e poi il ponte"

Ravenna, 19 agosto 2018 - «Se sono ancora qui è un vero miracolo». È una testimonianza forte quella di Daniele Dubbini, ravennate di 47anni, che da dodici vive a Sarzana, in Liguria, e che quel maledetto 14 agosto si trovava proprio sul Ponte Morandi di Genova, parte del tracciato dell’autostrada A10, nel momento del crollo. Una tragedia in cui hanno perso la vita 43 persone e che ha lasciato una ferita profonda nel capoluogo ligure, spezzato in due, ma anche in tutta Italia. Una tragedia che ha lasciato in sospeso una serie di punti interrogativi, oltre a una marea di polemiche politiche che sono sfociate nell’avvio dell’iter per la revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia. Ma al di là di tutto a pesare di più è la perdita di vite umane. E ieri è stato il giorno del dolore a Genova dove si sono celebrati i funerali di Stato per 19 delle vittime. Le famiglie degli altri morti nel crollo si sono sfilate dal momento solenne, a cui ha partecipato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e hanno preferito cerimonie private, chiusi in un dolore sordo e nella rabbia: «Ce li hanno uccisi».

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Daniele Dubbini, 47 anni, musicista ravennate, dove si trovava la mattina del 14 agosto, nel momento del crollo del ponte Morandi? «Ero lì, poco lontano dal camion verde della Basko (quello rimasto a pochi passi dalla voragine e diventato un simbolo del disastro, ndr). Subito dopo il camion c’era un Tir bianco spostato leggermente a destra e poi c’ero io, a bordo della mia Opel Frontera».

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Perché stava passando sul ponte Morandi? «Ero di ritorno da un concerto a Cuneo e stavo tornando a Sarzana, in Liguria, dove abito da dodici anni».

Cos’ha visto? «Il crollo dei piloni tenuti su dai tiranti, poi più niente; non riuscivo più a vedere bene».

Cos’ha pensato in quel momento? «Non sapevo cosa pensare perché certe scene si vedono solo in televisione».

Poi avete tentato di scappare? «Abbiamo fatto retromarcia, si è verificato anche qualche incidente nel panico generale. Poi siamo scesi a piedi e siamo scappati all’indietro fino alla prima galleria dove ci siamo riparati dal temporale infernale che si stava abbattendo sulla città».

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Intanto iniziavano ad arrivare i soccorsi... «Sì, e per rendere possibile l’arrivo dei soccorsi, siamo rimasti fermi fino alle 16 di martedì. E comunque io sono rimasto a Genova fino a ieri».

Com’era il clima in città? «Straziante. I genovesi sono arrabbiatissimi perché tutti temevano che prima o poi sarebbe successo. E comunque sono stati tutti bravi, ci hanno aiutato».

Lei è stato aiutato da qualcuno in particolare? «Da una psicologa che mi ha aiutato ad affrontare il momento. Subito dopo il disastro avevo l’adrenalina alta, lo shock è stato talmente forte. Due giorni dopo invece ho iniziato a stare male».

E adesso come si sente? «Meglio. Sono tornato a casa a Sarzana. E piano piano si ricompone tutto, anche se non mi sento ancora bene».

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Qual è l’aspetto che la fa stare più male? «Penso sempre che anch’io potevo essere tra i morti. Se sono ancora qui è un vero miracolo».

È andato ai funerali di Stato delle vittime? «No, ieri (venerdì, ndr) mi hanno ridato l’auto. Aspettavo solo quello. Non riuscivo più a restare a Genova».

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