Starne, il ripopolamento prende quota

Il progetto, a cura di Federcaccia ed Ente Parchi, è in corso da qualche anno. Erano presenti in passato ma poi erano sparite

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Il miracolo della vita si è compiuto nella porzione di Appennino dove da alcuni anni è in corso un programma per il ripopolamento di starne: decine di uova sono state deposte negli ultimi mesi. Il progetto, a cura della Federcaccia provinciale in collaborazione con l’Ente Parchi Romagna, ha preso il via nel 2019 in un terreno di un ettaro opportunamente recintato. Da non confondere con le sterne (raggruppamento di uccelli marini cui appartiene il fraticello, presente sulle coste ravennati), la starna eurasiatica è una parente prossima di quaglie e pernici, al punto da essere conosciuta in inglese come "grey partridge", cioè ‘pernice grigia’. È l’unico esemplare del genere ‘Perdix’ insieme alla starna del Tibet e a quella della Dauria, presente fra Russia e Mongolia. Qual è la situazione della starna in Italia? Molto critica: dall’Appennino faentino, dov’era comune negli anni ‘50, l’animale si era progressivamente diradato fino a sparire, come accaduto in molte altre parti d’Europa, che negli ultimi cinquant’anni ha perduto fino al 90% della popolazione. Il Ministero dell’Ambiente, che insieme all’Ispra ha dato vita a un Piano d’azione nazionale per la starna, nel 2016 ne quantificava la presenza in poche centinaia di esemplari: 500 in Piemonte (frutto di ripopolamenti), 100 in Friuli, appena poche decine fra Sibillini e Gran Sasso. A penalizzarle è stato soprattutto il modificarsi delle abitudini agricole, con la diminuzione del seminativo e le arature immediatamente successive alla trebbiatura. Ecco perché liberare le starne in natura può non essere sufficiente. "Per questo curiamo un campo coltivato a sorgo e loietto, alternati a erbe spontanee", spiega Dante Gianstefani per Federcaccia, "in modo che qui le starne possano trovare semi e insetti, oltre che riparo". La coltivazione avviene in modo particolare: "la semina vera e propria ha luogo ogni due anni, alternata con un’integrazione".

Le starne inserite ogni anno nel recinto che le ospita sono fra 60 e 80. Una volta in natura, sono i singoli esemplari – abituati a muoversi in gruppi detti ‘brigate’, capaci di spostarsi anche di alcuni chilometri – a scegliere i propri compagni, con i quali dare vita a una covata di una nuova generazione di uccelli: le uova, talvolta molto numerose, si schiudono generalmente in questo periodo dell’anno. "Nel 2022 sono state raccolte una sessantina di uova, e l’anno scorso altrettante". Gli esemplari liberati in natura provenienti dagli allevamenti, tuttavia, non sono in grado di portare a termine la covata: "per questo dobbiamo prelevare le uova e farle covare a galline francesine". Le starne nate da quelle uova dovrebbero poi essere dotate dell’imprinting necessario, una volta liberate a loro volta in natura, per concludere con successo una covata. Eventualità che potrebbe già essersi verificata: "a oggi non è chiaro quanti degli esemplari liberati dopo essere stati covati siano già riusciti a riprodursi autonomamente sul territorio dei calanchi. Tuttavia un anno e mezzo fa, a circa due chilometri dal recinto, è stata avvistata una cosiddetta ‘brigata’ di starne. Ci fece presupporre che fossero nate in libertà".

Filippo Donati