
Danilo Zavatta sulla passerella pochi istanti prima di essere inghiottito dal crollo
Ravenna, 6 giugno 2025 – È una testimonianza che pesa come un macigno quella resa in aula dall’ex caposquadra dei vigili del fuoco Sergio Rambelli, nell’ennesima udienza del processo per il crollo della diga di San Bartolo. Un processo che da due anni punta a fare chiarezza su quanto accadde il 25 ottobre 2018, quando il crollo della passerella sopra la chiusa costò la vita al tecnico della Protezione civile regionale Danilo Zavatta.
Imputati
Nove gli imputati a giudizio, tra dirigenti regionali, progettisti e rappresentanti della Gipco, società titolare della concessione per la centrale idroelettrica, indicata come causa del cedimento.
Due imputati sono forlivesi: Daniele Tumidei, 64 anni, (legale rappresentante della società titolare della concessione per realizzare una centrale elettrica sulla stessa chiusa, nonché legale rappresentante dell’impresa costruttrice della stessa centrale) e Angelo Sampieri, 81 anni (incaricato del progetto esecutivo e della direzione lavori).
Accuse
Le accuse vanno dal disastro colposo all’omicidio colposo, quest’ultimo però contestato solo a cinque degli imputati. Rambelli ha ricostruito nel dettaglio i momenti che precedettero il crollo della passerella sopra la chiusa, su cui si trovavano diversi tecnici e funzionari.
La testimonianza
Il teste ha raccontato che i vigili del fuoco vennero allertati intorno alle 13.20 e arrivarono trovando la via Ravegnana già chiusa, con entrambi gli accessi alla chiusa (dal lato Ravegnana e dal lato San Bartolo) formalmente interdetti. Eppure, ha detto, “c’era una folla sopra la passerella: carabinieri forestali, polizia locale, tecnici di Arpae, della Protezione civile, della Gipco e del Consorzio di bonifica. All’inizio non sembrava una situazione di emergenza, ma poi iniziarono i primi cedimenti del terreno, le crepe sulla Ravegnana”. Il racconto si è poi focalizzato su due figure: il primo a cui Rambelli si rivolse fu Enzo Errichiello, ispettore idraulico della Protezione civile. “Camminava tranquillamente sulla passerella scattando foto col cellulare”, ha detto. “Quando ho capito che la struttura era a rischio ho cominciato a urlare, a sbracciarmi, per farlo scendere subito. Ma lui mi faceva segno di non preoccuparmi, come a dirmi di lasciarlo lavorare. È sceso con calma, facendo anche delle pause”.
Subito dopo, Rambelli vide Danilo Zavatta. Entrato sempre dal lato verso San Bartolo, “era a metà della passerella. Ho cominciato a gridare anche a lui, lo avvisavo del rischio, si sentiva un rumore metallico, aumentava l’erosione dell’acqua, cadevano pezzi di calcestruzzo, la balaustra vibrava. Ma lui, con molta imprudenza, mi ha fatto segno di aspettare e si è voltato per scattare delle foto”. Poco dopo, il crollo. “Zavatta si stava avvicinando con passo lento verso l’uscita, faceva pause. Poi la struttura è collassata e l’ha inghiottito”.
Il punto
Proprio la dinamica dell’accesso alla chiusa è oggi uno dei punti più controversi tra accusa e difesa. Secondo la Procura, la rete metallica sul lato San Bartolo era aperta. Secondo la difesa, invece, sarebbe stata forzata o scavalcata dai tecnici. Una perizia sul video di un fotografo potrebbe chiarire la circostanza.
La strategia difensiva, però, si articola anche su un alt
r o fronte. A chiedere l’acquisizione del verbale dei vigili del fuoco – cui Procura e parte civile si sono opposti – sono stati gli avvocati Lorenzo Valgimigli ed Enrico Ferri, che difendono il geometra Claudio Miccoli, dirigente regionale all’epoca, accusato del disastro ma non di omicidio colposo. Perché? Perché il reato di disastro colposo, per configurarsi, richiede che il disastro — in questo caso il crollo della diga — produca un pericolo concreto per la pubblica incolumità. Se l’intera zona risultava formalmente chiusa e interdetta, come emergerebbe da quel verbale, quel pericolo concreto non ci sarebbe stato. E dunque, nell’ottica difensiva, anche l’ipotesi di disastro colposo verrebbe meno.