Troppo vicina a scuola, il Tar ‘sfratta’ sala slot

A Cervia le videolottery del colosso Romagna Giochi erano a meno di 500 metri dalla primaria ‘Pascoli’, in contrasto con la legge regionale

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L’insegna luminosa in questione, ‘Terry Bell’, la conoscono un po’ tutti. Compresi quelli che in una sala videolottery non ci hanno proprio mai messo piede. A Cervia a gestirla è la faentina Romagna Giochi srl, colosso di settore che per non vedersi chiudere alcuni punti scommesse perché troppo vicini a luoghi sensibili, aveva fatto ricorso assieme ad alcuni gestori. Il Tar di Bologna, con sentenza pubblicata nei giorni scorsi, lo ha rigettato dando ragione al Comune rivierasco, che nel marzo 2018 aveva vietato la prosecuzione delle attività. E alla Regione, che nel giugno 2017 aveva deliberato le nuove regole per il gioco d’azzardo lecito. La norma è millimetrica: per fare saltare le puntate, basta che a meno di 500 metri ci siano una scuola, una chiesa, un oratorio, un impianto sportivo o una residenza per categorie protette. O ancora un cinematografo, una struttura socio-sanitaria o un centro dove i ragazzi siano soliti ritrovarsi. In questo caso la struttura citata (non costituitasi) è la scuola primaria ‘Giovanni Pascoli’. E se nei vari ricorsi il nome dell’edificio che ha fatto ‘saltare il banco’ – perlopiù una scuola - è sempre stato diverso, analogo è stato l’esito della controversia la quale, per l’intero territorio ravennate, ha finora generato due scenari: o il Tar di Bologna ha confermato le intimazioni alla chiusura oppure ha preso atto della rinuncia del punto scommesse di turno a volere proseguire il braccio di ferro amministrativo con il Comune.

Nel merito se finora si erano registrati pronunciamenti per Ravenna, per l’Unione dei Comuni della Romagna Faentina e per la Bassa Romagna, per quanto riguarda Cervia è la prima volta. Nel ricorso si chiedeva l’annullamento di vari atti tra deliberazioni regionali e comunicazioni dell’amministrazione locale. Anzi, a quel punto Romagna Giochi aveva già impugnato la deliberazione con cui nel 2017 la Giunta della Regione aveva vietato sia l’apertura che la conduzione di sale giochi all’interno del raggio dei fatidici 500 metri. E l’anno dopo ecco che pure Cervia aveva dato corso alla norma imponendo a ottobre il divieto di proseguire nelle attività se non avessero rispettato l’ormai notorio requisito della distanza minima. Secondo i gestori che hanno proposto il ricorso, la norma era stata applicata in maniera retroattiva. E agli enti locali, attraverso una sorta di delega in bianco, era stato dato potere cautelare e sanzionatorio. Sul piatto anche la questione imprenditoriale: la norma, così come applicata, avrebbe determinato di fatto un’espulsione del gioco lecito da tutto il territorio - con conseguente ricaduta costituzionale - visto che, soprattutto in città, i luoghi sensibili sono tantissimi. In quanto all’amministrazione locale, la sua colpa sarebbe stata quella di non avere individuato “soluzioni alternative praticabili” coinvolgendo i diretti interessati. Il collegio del tribunale bolognese, presieduto dal giudice Alessandro Cacciari, è partito proprio dall’analisi di un possibile “effetto espulsivo” di attività lecita: fenomeno che – si legge nella sentenza – “deve verificarsi in concreto”. Per Cervia invece non è emerso nulla in tal senso. Per contro, “le disposizioni sui limiti distanziali rappresentano una efficace sintesi dei principi europei tra libertà imprenditoriale e contrasto della ludopatia”. E “l’eventuale difficoltà a reperire locali commerciali liberi, appare del tutto irrilevante” visto che non è “conseguenza imputabile alla misura restrittiva”. Nessuna censura nemmeno per la legge regionale che “non viola il divieto di retroattività”. E che soprattutto è intervenuta per arginare la “dipendenza del gioco d’azzardo, fenomeno assimilabile per certi versi a tossicodipendenza e alcolismo”.

Andrea Colombari