Truffa allo chef Cannavacciuolo: usarono il suo marchio nel menù

Ravenna, nel 2018 il cuoco scoprì l’inganno del ’Saporetti’ grazie a un’ammiratrice: a fine mese ci sarà il processo

Lo chef Antonino Cannavacciuolo

Lo chef Antonino Cannavacciuolo

Ravenna, 1 febbraio 2023 – A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 quel ristorante era frequentato anche da nomi dell’alta economia. Non era difficile là dentro imbattersi in Raul Gardini. E se ti chiedevano dove mangiare bene a Marina di Ravenna, per fare bella figura sgranavi gli occhi e pronunciavi quel nome: ‘Saporetti’. Poi il declino, la chiusura, la cessione. Infine, più di recente, l’affidamento in gestione a terzi.

Aggiungete un menù consigliato da uno chef pluristellato e otterrete gli ingredienti di una potenziale rinascita. Almeno fino a quando lo chef in questione, con voce baritonale, si è seduto davanti ai carabinieri e ha scandito questa frase: "Non ho nessuna collaborazione con quel ristorante e non ne ho mai sentito parlare".

Lui è il 47enne Antonino Cannavacciuolo e tra pacche (di incoraggiamento) e paccheri (alle vongole) ha scalato la culinaria nostrana racimolando ben sette stelle Michelin tra tutti i suoi locali e partecipando come giudice (e per physique du rôl) a vari format televisivi di culto, in primis MasterChef Italia.

Gli altri, decisamente meno noti, sono tre amministratori (di diritto o di fatto) di una società di Brescia che, secondo la Procura di Ravenna, nel periodo in questione si era occupata della gestione del locale, il celeberrimo (almeno per i ravennati) ristorante-pizzeria Saporetti, pur abbozzando un nome un po’ meno memorabile: ‘Primi in padella’. Si tratta di un 63enne bresciano e di una coppia di origine straniera – una 32enne e un 50enne – entrambi di Marina Romea, sempre sul litorale ravennate. Nel processo che a fine mese si aprirà davanti al giudice monocratico del tribunale di Ravenna, dovranno rispondere in concorso di contraffazione o uso di opere dell’ingegno o di prodotti industriali (articolo 473 del codice penale), reato collocato tra il settembre 2018 e il dicembre 2019. Del resto mica pizza e fichi: ‘Cannavacciuolo’ è un marchio depositato nel luglio 2017 all’ufficio Brevetti. E dunque per usarlo, occorre essere autorizzati dalla Cannavacciuolo consulting srl.

A segnalare allo chef il potenziale abuso, era stata una sua ammiratrice culinaria. Il 9 settembre 2018 la donna gli aveva inviato su Facebook un messaggio per avvisarlo di un volantino che pubblicizza la riapertura, il 14 di quel mese, del ristorante Saporetti "con menù di pesce e crudites curato dallo chef Antonino Cannavacciuolo". Lo chef aveva allora dato incarico alla segretaria per fare una chiamata al locale ravennate fingendosi cliente interessata. La conversazione era stata registrata.

"Buonasera – dice lei – volevo un’informazione, ho visto la vostra pubblicità per la riapertura di venerdì... ho visto che avrete un menù curato dallo chef". Dall’altra parte un uomo conferma: "Eeee… e abbiamo il menù curato da lui, perché a Mantova ci ha fatto la trasmissione con loro. Lui non sarà presente all’inaugurazione… in un futuro pensiamo… di fare… qualcosa con lui… in un futuro".

Lui, lo chef, si era invece recato nel presente alla caserma più vicina e, a verbale, l’aveva messa giù senza perifrasi: "Sono rimasto basito da questa situazione in quanto non ho nessuna collaborazione con il ristorante Saporetti".

L’ultimo ingrediente della frittata lo ha fornito ai militari la 32enne sotto accusa: a suo dire il menù in questione lo aveva ricevuto direttamente da Cannavacciuolo nel 2016 durante il programma ‘Cucine da incubo’ quando lei gestiva un ristorante a Mantova: "Ho pensato che potevo utilizzarlo anche nel nuovo ristorante. Mi sembrava una cosa buona".