"Uccise paziente". Trent’anni alla Poggiali

Massimo Montanari morì all’ospedale di Lugo la notte prima delle dimissioni. L’ex infermiera in precedenza lo avrebbe minacciato

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di Andrea Colombari

A Massimo Montanari, paziente 94enne di Conselice, avevano promesso che sarebbe stato dimesso la mattina dopo. Immaginiamo la sua soddisfazione visto che si trovava ormai ricoverato all’ospedale ‘Umberto I’ di Lugo da qualche giorno per una infezione polmonare che tuttavia era regredita grazie ad adeguata terapia antibiotica.

E invece verso le 23 di quella notte – era il 12 marzo del 2014 – l’uomo era improvvisamente morto. Per quel decesso considerato inatteso, nella tarda mattinata di ieri il gup Janos Barlotti, al termine del rito abbreviato, dopo circa due ore e mezza di camera di consiglio ha condannato a 30 anni di reclusione la 48enne ex infermiera dell’Ausl Romagna Daniela Poggiali (ovvero all’ergastolo da cui è stato sottratto un terzo per via del rito scelto).

All’Ausl, costituitasi parte civile, sono state riconosciute le spese legali mentre i risarcimenti dovranno essere quantificati in separata sede del tribunale.

Assenti in aula sia i familiari del defunto, non costituitisi parte civile, che l’imputata, mai intervenuta durante le udienze di questo processo. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni.

Secondo quanto ricostruito dalla procura – i pm Alessandro Mancini e Angela Scorza hanno coordinato le indagini dei carabinieri del nucleo Investigativo di Ravenna – quella notte la Poggiali, abusando dei propri poteri di infermiera impiegata nel reparto di Medicina, era entrata nel settore D, quello dove stava Montanari, approfittando del fatto che la collega Mimosa Granata a cui quell’area era affidata, si trovasse in quel momento impegnata per altro ricovero. Quindi si era offerta di sostituirla nel giro delle glicemie.

E alla fine – prosegue l’accusa – nonostante le rimostranze della collega, aveva insistito per somministrare di persona la terapia insulinica ai pazienti del D.

Solo un espediente, secondo gli inquirenti, per potere così entrare nella stanza del Montanari e somministrargli una dose non terapeutica di sostanza venefica, presumibilmente cloruro di potassio (per questo la 48enne deve rispondere pure di peculato aggravato). Infine era tornata dal paziente ma solo per assicurarsi che fosse morto: ultimo escamotage, per i pm, al fine di scongiurare manovre di rianimazione delle colleghe.

Il tutto segnato da quattro contestate aggravanti: premeditazione, uso di sostanza venefica, abuso di potere e motivi abbietti.

Quest’ultimo punto affonda direttamente nel delineato movente: l’imputata avrebbe cioè dato seguito alla minaccia di morte nei confronti del 94enne pronunciata il 3 giugno 2009 quando si era recata dalla segretaria dell’uomo, al tempo datore di lavoro dell’ex compagno, per consegnare un certificato: "State attenti te e Montanari di non capitarmi tra le mani", le parole che per la segretaria avrebbe nell’occasione pronunciato. Tanto che quest’ultima, evidentemente preoccupata da quella situazione, aveva poi espresso ai suoi cari una volontà precisa: "Per favore, se mi capita qualcosa che non riesco a parlare, non portatemi più all’ospedale di Lugo".

La sua testimonianza l’aveva rilasciata nel corso del processo davanti alla corte d’assise di Ravenna per un’altra paziente secondo l’accusa uccisa dalla Poggiali sempre con una iniezione di potassio non terapeutica praticata la mattina dell’8 aprile 2014 a poche ore dal ricovero a Lugo: la 78enne Rosa Calderoni di Russi per la cui morte in primo grado l’imputata era stata condannata all’ergastolo salvo quindi essere assolta da due successivi appelli a Bologna (e dopo il primo scarcerata dopo 1.003 giorni di cella) annullati poi a Roma da altrettante Cassazioni.

In seguito al deposito, nei giorni scorsi, delle motivazioni dell’ultima sentenza della Suprema Corte, si è ora in attesa della data dell’appello-ter.

La difesa – avvocati Lorenzo Valgimigli e Gaetano Insolera –, ha sempre sostenuto con forza l’innocenza della propria assistita sia per quanto riguarda il caso Montanari che per quello Calderoni.