
Fenicotteri, cicogne, cigni, gru, aironi e spatole: gli ultimi censimenti realizzati dagli ornitologi nelle zone umide ravennati hanno restituito la fotografia di un ambiente che in pochi decenni ha visto il riprendere corpo di popolazioni un tempo fortemente a rischio. Eppure ci sono specie che ancora si fanno desiderare dai birdwatcher, non più presenti neppure sull’Appennino o nella vicina laguna veneta. Fra quelle iconiche delle aree umide europee soprattutto una manca ancora all’appello: e cioè il re degli uccelli acquatici, il pellicano. Potrebbe però tornare, perché le condizioni ci sono. Del resto negli ultimi mesi un pellicano crespo è già stato avvistato in Italia, alle foci dell’Isonzo, in Friuli.
"Forse sarebbe più opportuno parlare di pellicani", spiega il biologo Massimiliano Costa, ex-direttore dell’Ente Parchi Romagna, da circa un anno responsabile delle aree naturali del Comune di Ravenna. "Non possiamo sapere se quello osservato dai naturalisti dai tempi antichi fino all’inizio del ‘600 fosse sempre il pellicano comune, o se in qualche caso si trattasse del pellicano crespo (caratterizzato dal ciuffo di penne che gli copre il capo, ndr)". Entrambi sono presenti in Europa: "il pellicano comune soprattutto sul Delta del Danubio, mentre quello crespo prevalentemente fra Montenegro, Albania, Macedonia e Grecia". "Come per altri volatili, ad esempio l’aquila di mare, credo che anche per i pellicani si tratti ormai di domandarsi non più se torneranno, ma quando. Per uccelli come loro non è difficile coprire distanze come quelle che separano la Grecia dall’Italia settentrionale".
Il pellicano crespo è infatti uno degli uccelli con la più grande apertura alare al mondo, secondo solo all’albatro urlatore e all’albatro reale del sud, frequentatori dell’oceano antartico. "Pensare a una reintroduzione credo non sarebbe la soluzione migliore. Possiamo però facilitare l’arrivo da queste parti dei pellicani, ad esempio con esemplari da allevamento che fungano da richiamo. Una volta arrivati qui gli uccelli troverebbero poi un habitat favorevole, con un’abbondanza di pesci, per quanto talvolta non siano più le stesse specie di cui si cibavano nel loro passato italiano. Un interrogativo è rappresentato dalla disponibilità di acque dolci, importanti per i pellicani: alla Piallassa ce ne sono circa trecento ettari, che potremmo valutare di incrementare. Ma anche valle Mandriole e Punta Alberete sono habitat da prendere in considerazione". Dove invece delle reintroduzioni potrebbero rivelarsi necessarie è sul fronte dei mammiferi: le pinete hanno registrato il ritorno di cinghiali, caprioli e lupi, ma non dei classici frequentatori delle zone umide europee, e cioè la lontra e il castoro, scomparsi dal ravennate e dal delta del Po rispettivamente negli anni ‘70 e a metà Seicento. "Il castoro è tornato in Italia recentemente, nello specifico in Friuli", prosegue Costa. "Benché in Austria o Ungheria abbia avuto una diffusione rapidissima, non abbiamo prove che in Italia accadrà lo stesso: il roditore potrebbe arrivare dalle nostre parti seguendo le aree umide della costa adriatica, ma non sarebbe facile". Ancora più complicato aspettare un ritorno spontaneo della lontra: "in Italia contiamo solo popolazioni sparse fra il Molise e la Basilicata, un areale ultraframmentato che non consentirebbe alla lontra di fare ritorno dalle nostre parti prima di 50 o 100 anni. Eppure è proprio nelle nostre zone umide, più ancora che nei torrenti del sud, che troverebbe il suo habitat ideale: sarebbe il carnivoro acquatico che oggi manca, il miglior argine possibile contro specie invasive come il gambero della Louisiana, ma anche contro nutrie e pesci siluri, di cui potrebbe predare gli esemplari più giovani".
Filippo Donati