Aemilia, la Cassazione su Iaquinta: "Partecipò a otto summit mafiosi"

Le motivazioni dei giudici che hanno rigettato il ricorso del padre dell’ex calciatore della Nazionale. "Intercettazioni e contatti coi sodali". Ma i legali meditano di rivolgersi alla Corte dei diritti dell’uomo

Giuseppe Iaquinta condannato a 13 anni

Giuseppe Iaquinta condannato a 13 anni

Reggio Emilia, 23 ottobre 2022 - "I giudici di merito hanno ricavato il coinvolgimento di Giuseppe Iaquinta nell’associazione mafiosa da una serie di fatti ritenuti significativi: il contenuto di alcune intercettazioni, la partecipazione a diversi incontri conviviali e i contatti con altri sodali durante veri e propri summit mafiosi".

La Cassazione spiega perché ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa dell’imprenditore di Reggiolo, condannato nel processo ‘Aemilia’ per associazione mafiosa a 13 anni, e padre dell’ex calciatore della Nazionale Vincenzo Iaquinta. L’imputato, che si è sempre proclamato innocente, aveva ventilato all’indomani della sentenza, tramite i suoi legali, un possibile ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Cassazione cita anche il coinvolgimento nell’affare ‘Blindo’, ovvero l’acquisizione di contanti frutto di una rapina in cambio di dollari (progetto mai perfezionato). Poi nel ‘piano Cutro’, un investimento per fare un impianto di energia eolica per il quale Iaquinta e Antonio Gualtieri incontrarono Grande Aracri nel 2011 e a cui si interessò anche Romolo Villirillo. Nonché le vicende a Porto Kaleo per il furto di ombrelloni, in cui fu attivato Romolo Villirillo, e per il rimessaggio della sua barca, quando fu sollecitato Alfonso Paolini. Ancora, il pranzo a casa di Iaquinta con ospite il capocosca Nicolino Grande Aracri e la sua partecipazione al matrimonio della figlia del boss di Cutro.

Nonché quella alla cena del 21 marzo 2012 agli ‘Antichi sapori’, "quando i componenti del clan avrebbero predisposto un’attività di contrasto alla diffusione di notizie sulla loro attività in Emilia". E la disponibilità di armi. Per i giudici di terzo grado "assumono una rilevanza particolare, se non determinante, le ricostruzioni accurate della Corte d’Appello sulla partecipazione a più incontri, circa otto, definiti veri e propri summit criminali", in presenza di uomini poi condannati per 416 bis e con ruoli di guida della consorteria. Nelle mootivazioni si ripercorrono tutti questi raduni. Una volta Iaquinta discusse con Alfonso Paolini per la spartizione di soldi. Poi si parlò dell’acquisizione di una sala giochi a Parma e dei contatti con le forze dell’ordine per bloccare il rilascio dell’autorizzazione a un concorrente. E degli affari ‘Blindo’ e ‘Belvedere’: quest’ultimo riguarda i soldi non versati al clan dopo la vendita di 150 appartamenti, cosa che provocò l’ira di Antonio Gualtieri. A un altro incontro partecipò un ispettore di polizia (poi archiviato): la cosca cercava il suo favore per far avere il porto d’armi a soggetti amici. Secondo la difesa, da parte di Iaquinta "non vi furono adesione formale o contributo fattivo": al contrario per la Cassazione quegli incontri, in cui si parlava di affari strategici per la cosca, provano la sua partecipazione zlla consorteria "senza che sia necessario, come vorrebbe la difesa, individuare se i progetti delittuosi siano stati poi effettivamente realizzati".