Coronavirus Aemilia, "A rischio la salute: vogliamo i domiciliari"

I detenuti di ’ndrangheta: "Nelle carceri il virus ha causato dei morti". A richiederli anche Giuseppe Iaquinta, papà dell’ex Juventus

Giuseppe Iaquinta è stato condannato a 19 anni nel processo ’Aemilia’

Giuseppe Iaquinta è stato condannato a 19 anni nel processo ’Aemilia’

Reggio Emilia, 24 aprile 2020 - Diversi detenuti in carcere in attesa di giudizio o condannati nell’ambito di inchieste di ‘ndrangheta hanno chiesto di essere messi ai domiciliari, giustificando la richiesta con il rischio Covid. Nell’ambito dell’operazione ‘Grimilde’, sul radicamento della cosca Grande Aracri a Brescello, lo ha domandato Giuseppe Caruso, 60 anni, in attesa dell’udienza preliminare in maggio alla Dozza di Bologna insieme ad altri 84 indagati. Come lui, nel carcere di Voghera, è anche detenuto Giuseppe Iaquinta, condannato nel processo ‘Aemilia’ a 19 anni per associazione mafiosa e ora a processo in Appello. "Nella struttura penitenziaria la situazione non è buona - dice l’avvocato Pasquale Muto, codifensore dell’imprenditore di Reggiolo, padre dell’ex calciatore della Juve Vincenzo Iaquinta -. Nella stessa sezione che ospita Iaquinta padre, è morto infatti un detenuto per Covid. Attendiamo documenti sanitari, poi valuteremo se formalizzare l’istanza".

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Stessa richiesta l’ha avanzata l’avvocato Luca Andrea Bretzigar per Antonio Muto 1971, dodici anni di condanna in abbreviato e otto e mezzo con il rito ordinario in ‘Aemilia’, detenuto per ‘Grimilde’: "Si rischia una grossa ingiustizia, cioè che chi deve scontare una pena di un paio di anni possa uscire, mentre un presunto innocente, quale dev’essere considerato Muto, in attesa dell’Appello, debba stare in carcere rischiando la salute". La richiesta per Muto, bocciata, sarà ripresentata con l’appello al tribunale della Libertà. Stessa domanda avanzata per Pasquale Riillo, detenuto a Voghera, condannato a 12 anni e otto mesi in ordinario, quattordici anni in abbreviato.

Non tutti avanzeranno richieste. Ad esempio l’avvocato Alessio Fontanesi per Giuseppe Vertinelli, 1962, detenuto a Teramo, tredici anni e dieci mesi di pena in ‘Aemilia’: "Non sappiamo di casi conclamati nel suo penitenziario". Sulla stessa linea l’avvocato Carmen Pisanello per Michele Bolognino, venti anni e sette mesi di condanna, all’Aquila: "Non ci risulta un concreto rischio di contagio verso il mio assistito". Nessuna domanda anche per Gianluigi Sarcone, in carcere a Viterbo, difeso dall’avvocato Stefano Vezzadini.