CRISTINA DEGLIESPOSTI
Cronaca

Incubo ’ndrangheta a Reggio Emilia. Tregua tra clan in nome del profitto: "La cosca si rigenera e fa proseliti"

Dopo Aemilia, l’operazione Ten della Direzione antimafia di Bologna: 20 indagati e sei in carcere. Sgominato gruppo parafamiliare legato agli Arabia. Torna il dna delle origini: armi e violenza.

Una sorta di "pax mafiosa", in nome del profitto, tra le famiglie di ‘ndrangheta che tra gli anni ‘90 e i primi 2000 si sono combattute per il predominio, insanguinando l’Emilia e la Calabria. E un "ritorno alla tradizione" da parte di un nuovo gruppo che, ai raffinati reati finanziari propri delle mafie “imprenditrici” al nord, affiancava la violenza ed aveva armi pronte all’uso. Sono i due aspetti emersi dalla nuova operazione Ten, coordinanta dalla Direzione antimafia di Bologna, condotta a Reggio Emilia a dieci anni dal maxi processo Aemilia contro le cosche calabresi. Nell’inchiesta, che vede in totale 20 indagati e sei persone arrestate per associazione a delinquere di stampo mafioso, è stato in particolare sgominato un gruppo “parafamiliare” capeggiato da Giuseppe Arabia, 59 anni, il cui fratello Salvatore (braccio destro e parente del vecchio boss Antonio Dragone) è stato ucciso nel 2003 a Steccato di Cutro in un agguato da parte degli “scissionisti” legati ai Grande Aracri, poi emersi vincitori. Le indagini, condotte dalla Guardia di finanza e dalla squadra Mobile della Questura reggiana, sono partite nel 2018 seguendo fili distinti che si sono poi ricongiunti, portando tra l’altro a scavare nei faldoni dei processi di questi anni.

Come spiega il Procuratore di Bologna facente funzioni Francesco Caleca "quella che è stata colpita è una sorta di unità organizzativa perfettamente inserita nella cosca di ‘ndrangheta radicata e tradizionalmente presente a Reggio Emilia". Un’unità che, come spesso accade, "ha un suo nucleo familiare genetico e vede nella sua composizione da un lato il superamento di vecchie contrapposizioni che c’erano state in passato tra i Dragone e i Grande Aracri, e dall’altro evidenzia una capacità rigenerativa della cosca che non solo continua ad essere presente, ma arruola nuove leve e ne coltiva la ‘formazione mafiosa’". L’altro aspetto, continua Caleca, "è la smentita di quanto si dice quando si parla di mafie al nord, cioè che avrebbero perso quell’aspetto militare, truce e violento per diventare imprenditrici".

Marco Principini