Omicidio Toano, le accuse: "Impedivano a Pedrazzini di uscire e chiamare i parenti"

Le ipotesi della Procura formulate per chiedere la custodia in carcere, poi rifiutata dal giudice. E poi c’è il dettaglio della pietra sul pozzo

La figlia Silvia, il genero Riccardo e la moglie Marta all’uscita dal carcere

La figlia Silvia, il genero Riccardo e la moglie Marta all’uscita dal carcere

Reggio Emilia, 17 maggio 2022 - Avrebbero impedito a Giuseppe Pedrazzini di allontanarsi dall’abitazione, sottraendogli documenti di identità e patente di guida.

Ma anche di intrattenere contatti telefonici coi propri familiari, concedendogli solo in un’unica occasione di parlare con la sorella Luciana, in modalità ‘vivavoce’ e alla presenza della moglie Marta.

Omicidio Pedrazzini, il giudice scarcera i tre familiari: "Non ci sono abbastanza prove"

È quanto ipotizza, nero su bianco, la Procura che scende nei dettagli per la contestazione del reato di sequestro di persona nei confronti dei tre indagati. Ma che per il giudice Dario De Luca non trova riscontro – almeno per il momento – negli indizi probatori raccolti durante le indagini preliminari ancora in corso.

Il quadro accusatorio vede – oltre a quest’accusa – anche quella di omicidio in concorso per aver cagionato il decesso del congiunto Giuseppe Pedrazzini ("con modalità in corso di accertamento", come si legge dalle carte), ma anche questa secondo il gip non è corroborata da elementi concreti. Mentre restano in piedi, anche per il tribunale, la soppressione di cadavere e la truffa.

La prima ipotesi vede gli inquirenti sostenere che il genero Riccardo, la figlia Silvia e la moglie Marta avrebbero gettato il corpo all’interno di un pozzo d’acqua profondo all’incirca otto metri, presente a poca distanza dalla casa colonica familiare e coprendone l’apertura con una pesante lastra di pietra, così assicurandosi la definitiva sottrazione del cadavere alle ricerche altrui.

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E proprio quest’ultima parte quella più importante, sulla quale la magistratura vuole continuare ad indagare per risolvere il giallo di Cerrè Marabino. Perché non quadra rispetto al racconto e alla tesi difensiva dei tre indagati secondo cui Pedrazzini sarebbe potuto cadere da solo nella cisterna, anche a seguito delle sue patologie neurologiche pregresse e delle difficoltà di deambulazione. Se fosse così però chi ha messo il coperchio sul pozzo? Di certo Giuseppe non avrebbe potuto farlo da solo, se fosse davvero caduto. Possibile che chi ha coperto il buco, non abbia visto il corpo al suo interno?

Infine, la truffa. La Procura su questo avrebbe elementi consistenti per sostenere che i tre, in concorso tra loro, anche in tempi diversi e successivi, avrebbero – con artifici e raggiri consistiti nel celare maliziosamente la morte del loro congiunto, avendo il dovere di comunicarne l’avvenuto decesso – indotto in errore l’ente pubblico previdenziale Inps, il quale continuava ad erogare in favore di Giuseppe Pedrazzini la pensione di anzianità e di invalidità allo stesso spettante, procurandosi così un ingiusto profitto, mediante riscossione delle suddette pensioni dal conto corrente a lui intestato e cointestato alla figlia Silvia. La quale – avendone delega, sempre stando a quanto dice il pm – avrebbe provveduto a prelevare materialmente la somma.