Nonostante un’assoluzione definitiva in sede penale, Andrea Antico – il sottoufficiale dell’esercito, ex consigliere comunale di Monte Colombo – potrebbe presto essere costretto ad affrontare una nuova battaglia giudiziaria. Con le indagini riaperte dalla Procura di Pisa nel 2018, Antico si è trovato imputato per il ‘giallo della morte in caserma’ insieme ad altri due ex commilitoni, Luigi Zabara e Alessandro Panella. La morte in questione è quella di Emanuele Scieri, il 26enne parà siracusano trovato cadavere sotto un tavolo alla Gamerra di Pisa, deceduto da tre giorni, il 16 agosto 1999. L’accusa per i tre era quella di aver picchiato la recluta dopo che la stessa aveva cercato una disperata fuga sulla torretta di asciugatura dei paracadute il 13 agosto, facendolo poi precipitare e morire, e nascondendo il corpo. Antico, difeso dagli avvocati Firenzo e Alberto Alessi, divise subito la sua storia processuale dagli altri ex caporali, scegliendo di essere giudicato con rito abbreviato ed è stato assolto sia in primo grado che in appello. E quell’assoluzione, in nome del ragionevole dubbio sulla sua presenza in caserma quella sera, è passata in giudicato dopo che la procura generale ha rinunciato ad impugnare per Cassazione ritenendo non vi fossero elementi sufficienti a supporto. E nonostante le richieste avanzate in tal senso dalle parti civili, la famiglia Scieri e il ministero della difesa.
Ma perché per Antico non è del tutto finita? Perché la sentenza, ai soli fini civili, è stata impugnata per Cassazione dalla madre e dal fratello di ‘Lele’, tramite gli avvocati Ivan Albo e Alessandra Furnari. Sentenza che è dunque definitiva sotto il profilo penale, ma non sotto quello civile. La parte civile lamenta – si apprende – vizi di legittimità che, se accolti dagli ermellini, potrebbero aprire la possibilità di un rinvio davanti al giudice civile, dando alla famiglia Scieri l’opportunità di esercitare il diritto al risarcimento del danno. È questa la tegola ancora sulla testa di Antico, assolto dall’accusa di omicidio, "ma teoricamente ancora davanti ad un rischio che – spiega l’avvocato Alessi – non è quello di finire in carcere, ma di vedersi condannato a rifondere i danni per la morte di Emanuele. Ecco perché il nostro assistito, pur soddisfatto dall’esito dei processi, non si sente ancora moralmente sollevato".