Toccare il malato è ormai “vietato”. Visitare, auscultare, prendersi cura del paziente non è più una prassi consolidata. Non per evitare la contaminazione, come in una catena di produzione, ma per ridurre il carico di lavoro di sanitari sottopagati e stremati.
I reparti sono pieni di giovani professionisti, ultra trentenni neolaureati, in divise che vanno dal bianco al blu. Nella loro freddezza sembrano divi del grande schermo: distaccati, frettolosi, distanti. Non guardano più negli occhi i pazienti. Il personale sanitario del 2025 sembra aver smarrito la vocazione: sorridere, toccare, confortare i malati è diventato un lusso. Rassicurare, trasmettere speranza, accarezzare l’anima di chi soffre sembra quasi vietato.
Un tempo, l’ospedale era un luogo di sollievo. Oggi, la vecchia generazione di sanitari sembra svanita, e la nuova appare insoddisfatta. Cosa manca davvero? Forse personale sufficiente per permettere turni umani? O forse il guadagno non è più motivante? Mancano stipendi adeguati, dignità, empatia. Forse manca quella generosità che le famiglie avrebbero voluto insegnare, senza riuscirci. Un lunedì mattina qualunque, una figlia cerca di conciliare il lavoro precario con l’assistenza alla madre malata. Lei, affetta da una malattia neurodegenerativa, ha la febbre alta e appare un’ombra di sé stessa. Non parla, non reagisce. Un’accortezza in più non sarebbe troppo. Corri, chiami l’ambulanza, la segui per proteggerla. Arrivi in ospedale a Rimini. Ore di attesa. Nessuno si avvicina. Nessuno la visita. “Attenda, attenda”, ripetono. Il tempo si dilata, i turni cambiano, tutto si azzera: dieci ore dopo, finalmente un medico pronuncia il suo nome. Ti senti fortunata, come se avessi vinto alla lotteria. Ma il medico non ti guarda, non spiega nulla. “Raggi”, dice soltanto. Poi ore di attesa senza risposte. Finalmente una diagnosi: “Infezione”. “Dove?”, chiedi. Risponde con sufficienza: “Da qualche parte nel corpo”. Due giorni di ricovero, test negativi per qualsiasi infezione. Nulla è cambiato. Tua madre ha ancora la febbre alta, i sintomi peggiorano. “Si vesta, può andare”. Ti senti persa. Ma fortunatamente hai un cognato medico. Viene a casa, la visita in cinque minuti. La diagnosi è chiara: “Polmonite. Servono antibiotici immediati”. Dieci iniezioni urgenti, altrimenti sarà troppo tardi. Grazie alla fortuna, hai salvato tua madre. Ma tutti possono essere così fortunati? Me lo auguro.
Iriczalli Gallardo