
Lo scrittore, docente e sceneggiatore Alessandro D’Avenia stasera sarà ospite de ’La Riccionese - Conversazioni e contemplazioni’, in programma per il centenario dell’autonomia comunale di Riccione. L’appuntamento è alle 21 al palacongressi. A introdurre "L’appello: a che serve la scuola?" sarà il poeta e scrittore Davide Rondoni.
Un’anticipazione della serata? "Dialogherò con "i presenti" uso questa parola, perché si tratta della rielaborazione come racconto teatrale dell’Appello, il mio ultimo romanzo. E non perché ne sia il riassunto o la messa in scena, ma perché ne è la messa in vita a Riccione in questa sera con quelle persone con me". "L’appello: a che serve la scuola?" a chi è rivolto?
"A tutti, perché non racconto la scuola come tappa della vita da cui tutti passiamo, ma come sua permanente rivelazione. L’essere umano si realizza nella relazione e non nella autorealizzazione come vuole farci credere una cultura individualista e menzognera. La salute di una comunità si misura da come si prende cura delle persone: ospedali e scuole. Per questo L’appello è un romanzo, ma anche un manifesto etico e politico di quella che chiamo Ribellezza, che non è più procrastinabile se non al prezzo di tante vite represse". La scuola non è sempre al passo coi tempi, qual è il modello ideale?
"Non esiste la scuola ideale, esiste la scuola che si fa ogni giorno nella relazione maestro-allievo. La scuola di oggi è una catena di montaggio che dà a tutti le stesse cose, bisogna invece inaugurare una scuola bottega in cui, mentre si danno i principi generali a tutti, si aiuta ciascuno a trovare la sua strada. Socrate lo chiamava daimon, noi vocazione, e da quel daimon, da quella voce unica e irripetibile di cui ciascuno di noi è portatore dipende la felicità. Felice non vuol dire "di successo" ma "fecondo" e noi siamo fecondi solo quando viviamo una vita autentica, che la scuola realizza".
Dal suo ultimo libro è nato uno spettacolo teatrale?
"Protagonisti del romanzo sono dieci ragazzi che rispondono al loro primo Appello. Il loro insegnante è cieco e quindi costretto a conoscerli come fanno i ciechi: ascoltandone la voce e toccandone poi il volto. Credo che questo basterebbe a rivoluzionare la scuola: ascoltare e toccare, cioè prendere in carico le vite reali e poi, solo poi, fornire loro gli strumenti e le conoscenze necessarie a rendere quelle vite possibili pienamente realizzate. Sul palco il professore lo interpreto io stesso con una benda sugli occhi. Non sarà possibile fare lo spettacolo con i ragazzi, quindi sarò io a raccontare tutto, anche le loro parti".
Tanti ragazzi tristi, irrequieti, alcuni violenti, che fare?
"L’energia dell’uomo è il desiderio che si scopre proprio nell’adolescenza e se non è possibile indirizzarlo alla creazione lo si indirizza alla distruzione. Per recuperare il potere creativo del desiderio che abita in ciascuno, occorre restituire i ragazzi a se stessi, fargli scoprire in che modo sono un dono per il mondo e che quello che ciascuno può fare, lo può fare solo lui. La chiave di tutto è recuperare il rapporto con il destino, con la morte, e quindi con la vita".
Dopo l’ultima fatica letteraria, cos’ha in cantiere?
"Un libro ispirato all’Odissea". Nives Concolino