Una piazza in cui riflettere sulla fragilità

Presentata la 53esima edizione di Santarcangelo Festival: 40 tra performer, gruppi e compagnie per un totale di 96 repliche

Una piazza in cui riflettere sulla fragilità

Una piazza in cui riflettere sulla fragilità

Il punto di partenza dell’edizione numero 53 di Santarcangelo Festival (dal 7 al 16 luglio) non può non essere una riflessione sul momento di grande fragilità che viviamo. Fragilità del territorio ovviamente (e il sindaco Alice Parma esprime la vicinanza della comunità anche a chi ha visto compromessi in questi giorni i propri luoghi della cultura) ma fragilità pure sociale, economica e personale. Non a caso stavolta il claim della kermesse ‘enough not enough’ (‘abbastanza non abbastanza’) invita a ragionare – spiega Tomasz Kirenczuk, direttore artistico al secondo anno di mandato – su ciò che abbiamo di troppo e su ciò che non abbiamo abbastanza. Così i 40 protagonisti (tra performer, gruppi e compagnie) impegnati in un totale di 96 repliche sono chiamati a indagare il versante politico e sociale contemporaneo per fare del festival – dice il presidente Giovanni Boccia Altieri – "una piazza aperta in cui discutere". Non cambiano i luoghi della kermesse (quest’anno torneranno ad essere usati le ex carceri e la Rocca), si rinnova in larga parte il parterre degli artisti. Kirenczuck individua nella programmazione alcune linee portanti in larga parte legate all’uso del corpo. Il corpo che lavora è raccontato dalla lituana Anne-Marija Adomaityte che in ‘Workpiece’ rievoca la sua esperienza in un fast food o dalla brasiliana Cote Jana Zuniga che in piazza Ganganelli allestisce una sorta di fabbrica di oggetti inutili. Ma in questo comparto trovano spazio anche il tedesco Julian Hetzel e la sudafricana Ntando Cele impegnati a immaginare paradossalmente donne africane che ricevono acqua in cambio di lacrime. Il corpo inteso come liberazione trova una ribalta in più situazioni.

La francese Rébecca Chaillon porta, ad esempio, in scena l’atto dello schiarimento della pelle per raccontare la tensione di una donna nera all’interno di una società bianca mentre la bielorussa Jana Shostak lancia ancora da piazza Ganganelli il suo urlo di protesta contro le persecuzioni che già levò nel 2021 davanti al palazzo della Commissione europea a Varsavia. E ancora la questione queer con Harlad Beharie, il Nijnsky riletto da Catol Teixera, la pratica dell’inchino che si fa coreografia di Wojciech Grudzinski. Si svolge per tutto il periodo del festival (con 200 repliche previste) la performance per uno spettatore unico del palestinese Basel Zaraa che fa riferimento a una sezione dedicata alla riconsiderazione del passato. Non mancano gli artisti italiani, ovviamente. Chiara Bersani presenta ‘Sottobosco’ nell’ambito di una sezione dedicata alla cura del corpo, Cristina Kristal Rizzo ripropone lo spettacolo ‘Paso doble’ visto a Santarcangelo 17 anni fa, il Collettivo Cinetico mostra il proprio ‘Manifesto cannibale’. E poi citazione d’obbligo per Silvia Calderoni.

Claudio Cumani