A Rimini si lavora meno: come al Sud. Maglia nera del Nord per tempo in ufficio

In provincia sono appena 199,5 i giorni in cui i dipendenti sono impegnati. Due mesi di media in meno rispetto alle altre città dell’Emilia-Romagna e in linea con i dati del Sud Italia. Cgil: "Annoso problema del territorio"

In ufficio (foto di repertorio)

In ufficio (foto di repertorio)

Rimini, 16 luglio 2023 – Rimini, Rimini, cicala del Nord Italia. La città che appare tanto bella quanto oziosa, proprio come la comoda cicala di Esopo, che sotto il ramo dell’albero stava mentre sotto avanti e indietro passava la formica. È questa, a un primo sguardo, l’immagine che emerge dall’indagine sui dipendenti delle imprese private condotta dalla Cgia di Mestre e che spacca l’Italia in due parti: quella di chi lavora e quella di chi, invece, lavora meno. Una forbice di circa due mesi separa come in due tronconi Nord e Sud, con la parte alta della Penisola che risulta contraddistinta da un numero medio di giorni lavorativi intorno ai 240-250. E una parte meridionale che invece non va oltre le 200 giornate lavorative all’anno ( dati risalenti al 2021, ndr ). Ma quel che più salta all’occhio è che Rimini, considerata a tutti gli effetti una ’città del Nord Italia’ in questa speciale classifica invece va a braccetto con il Sud, facendo registrare in provincia appena 199,5 giorni in fabbrica, in ufficio: al lavoro.

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E allora ecco che si spreca il paragone con la cicala, dal momento che, solo a titolo di confronto, le città ’cugine’ come anche solo Modena e Reggio Emilia in media lavorano due mesi in più di Rimini. Mentre, infatti, le città del Nord Italia occupano tutte la fascia alta per giorni lavorati all’anno nell’indagine della Cgia, Rimini si distingue e aggiunge al gruppone ’fanalino di coda’ della classifica. Quel novero di città sotto la soglia dei 200 giorni lavorati all’anno, dove con Rimini si piazzano Crotone, Lecce, Agrigento, Salerno, Foggia, Cosenza, Trapani, Nuoro, Messina e Vibo Valentia. Limitandosi ai numeri, sembrerebbe che Rimini sia la provincia scansafatiche in una regione di ’sgobboni’, ma come sempre è grattando la superficie ruvida dei numeri che si scopre il nocciolo della realtà.

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La realtà è che il nostro territorio "ha caratteristiche uniche nel suo genere". Mette le mani avanti Isabella Pavolucci, segretaria provinciale della Cgil, che ammette: "Quanto emerge dall’indagine non rappresenta un elemento di novità, ma il prodotto di tre fattori che concorrono nel nostro territorio e producono un risultato che, visto così, può apparire impietoso". La ’lista dei difetti’ secondo Pavolucci è molto semplice: "Nella nostra provincia per la sua vocazione turistica anzitutto il lavoro è prevalentemente stagionale e questo incide eccome sul novero di giornate lavorate all’anno. Ancora – snocciola la segretaria del sindacato – nella provincia almeno la metà dei contratti di lavoro sono part-time. E da qui un altro storno alle ore, poi ai giorni, lavorati nell’arco di un anno. Il terzo elemento – conclude – è che purtroppo non si può nascondere come parte del lavoro sia irregolare, sotto traccia, in nero. E quindi non considerato in questa indagine".

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Un’indagine che pone Rimini alla posizione 62 tra le province italiane per giorni lavorati annui e ancor più in basso nel ranking per retribuzione media annua, con 16.068 euro. La situazione fotografata da Cgia ha subito attirato l’attenzione di Confartigianato, con il presidente Davide Cupioli che ha chiarito: "Approfondiremo il lavoro compiuto da questa indagine, ma quando si parla di lavoro e si comparano i territori, vanno introdotte variabili fondamentali che riguardano la peculiarità delle varie economie. La stagionalità del lavoro nel riminese è un fattore che altera ogni paragone. Il vero tema è ristabilire una cultura del lavoro che rimetta al centro la passione e il desiderio di intraprendere. Su questo, la nostra e tutte le associazioni, insieme al sistema economico, devono svolgere una attività instancabile perché le nuove generazioni hanno smarrito questa tensione. Veniamo da anni nei quali ci si può costruire uno stipendio anche senza lavorare ed è chiaro che se un dipendente riesce a mettere insieme un reddito estivo e poi coi vari sussidi aggiunge ulteriori introiti, viene educato ad un rapporto negativo col lavoro".