
Vivere tra le nuvole a San Pellegrino in Alpe Nel paese diviso dal confine ogni pietra è storia
di Francesco Vecchi
Nel borgo tra le nuvole i confini che separano storia e leggende, il presente dall’antichità, sono ben più sottili di quello che San Pellegrino in Alpe lo attraversa delineando Emilia e Toscana. Qui il culto millenario per un santo a furor di popolo resta integro come la sua salma, nonostante il mancato riconoscimento della Chiesa, e da oltre otto secoli i discendenti di una stessa famiglia danno da mangiare e dormire a chi lo chiede. Il più anziano dei Lunardi è Pacifico, ‘Pacetto’, che dai 1.525 metri d’altitudine ha osservato oltre novanta primavere rinverdire un panorama mozzafiato dominato dalle Apuane. Ma è l’estate la stagione che più stupisce, quando le migliaia di turisti creano un bizzarro ’effetto Riviera’. In verità il mare è una lontana linea blu tirrenica che nelle giornate più limpide don Fulvio Calloni può indicare in direzione Livorno, conoscendo l’esclusivo punto di osservazione che offre il santuario e hospitale, costruito intorno l’anno mille, da dove si vedono anche i boschi dell’eremo in cui il parroco vive.
Quando la bella stagione cede il passo agli ultimi escursionisti della rinata via Vandelli, si torna ai dieci residenti di uno dei borghi più insoliti d’Italia. "Tra gli affezionati c’è chi sceglie San Pellegrino da oltre cinquant’anni per passare le ferie. Finita l’estate restiamo solo noi, in una vita molto legata al meteo ma con una vista senza paragoni" spiega Paolo, che di Pacetto è il figlio e di San Pellegrino in Alpe un po’ il ’custode’, mentre prepara un caffè ristretto in Toscana e lo serve in Emilia, senza per questo spostarsi dal suo bar con annessi ristorante e albergo; un paradosso, come tanti se ne scoprono interrogando le pietre del borgo tra le nuvole. Era una locanda, quel locale, quando i Lunardi, gli avi, lo presero in gestione prima di acquistarlo. Da allora un po’ di tempo è passato: correva l’anno 1221, Pieno Medioevo, i comuni nati da poco e San Pellegrino in Alpe già punto d’incontro tra mondi differenti, la Lucchesia e Modena; un andirivieni di merci da e per il porto di Pisa. Di quell’anima sempre al confine, testimonianza sono anche le targhe che segnano oggi il limes tra i comuni di Frassinoro (Modena, Emilia) e Castiglione di Garfagnana (Lucca, Toscana). Causa di qualche cavillo burocratico in più, la linea divisoria è al lato pratico un vezzo per i turisti e rimando a tempi lontani. O meglio, era così fino a quando in pieno lockdown del paese abitato più alto dell’Appennino non si è parlato letteralmente in tutto il mondo. A inizio novembre del 2020 la vicenda del bar ’L’Appennino-Da Pacetto’ e del suo paesello diviso, per metà in Toscana, allora zona arancione, e per metà in Emilia, ovvero zona gialla, venne raccontata in più e più lingue. Il dilemma era: si può tenere aperto o no? Ben presto, ricorda Paolo, "sono arrivate le telecamere fin quassù. Telefonavano giornali e programmi tv". Googolando, per esempio, si trova facilmente un articolo del britannico Guardian, la foto ritrae Paolo e la moglie Vanessa al ’famoso’ bancone con l’obbligatoria mascherina.
A quell’essere terra di mezzo San Pellegrino in Alpe deve anche il legame profondo con uno sport che con la montagna condivide molto: fatica, tenacia, natura. Parliamo del ciclismo. Ciclismo e dunque Giro d’Italia. La salita che da Castelnuovo Garfagnana (Toscana) porta al borgo, è una zeppeliniana scala verso il paradiso applicata alla bicicletta; chi la conclude può richiedere un attestato cartaceo a Ruggero Giannotti, titolare del negozio ’La Sorgente’, accompagnandolo con un pezzo di quella focaccia che solo i ‘toschi’ sanno preparare. La pendenza che lungo i 18 chilometri arriva al 20% e la prospettiva di una strada che apre i faggeti sfidando la gravità è, anche in questo caso, un rimando all’antichità: secondo secolo a.C., ai Romani i Liguri non stavano granché simpatici e per cacciare i Friniati dagli Appennini venne creata una rete viaria laddove in precedenza era difficile immaginarla. Dai centurioni, ai pellegrini, dai mercanti ai... pirati. Un pirata, di Cesena. Su quella stessa salita, che definiva "tremenda", Marco Pantani si allenava nel 1995, prima dell’incidente.
L’edizione del Giro di quell’anno è la seconda passata a San Pellegrino in Alpe, la precedente nel 1989 poi nel 2000. Tappe durissime come il calvario sui pedali di ogni ciclista che abbia affrontato una salita in cui le gambe sono fondamentali, ma è solo dopo uno sforzo mentale che si arriva in fondo. Forse era così anche per centurioni e pellegrini. Oggi questi ultimi scelgono perlopiù a piedi il percorso devozionale raffigurante la via Crucis della più docile strada che arriva a San Pellegrino in Alpe dal versante opposto del passo Radici. Uno più laico dell’altro, entrambi i percorsi conducono a quel santo non santo, un Francesco d’Assisi ante litteram che riposa nel borgo ai confini del tempo, dove chi lo vuole può ancora fermarsi per davvero, anche solo un minuto.