Nigeriano ucciso, Mancini resta in cella. "Può rifarlo ancora"

L'ordinanza del giudice che non convalida il fermo, ma lascia in carcere l'ultrà perché "se provocato, potrebbe reiterare il reato"

Nigeriano ucciso a Fermo, Amedeo Mancini arriva in tribunale (Foto Zeppilli)

Nigeriano ucciso a Fermo, Amedeo Mancini arriva in tribunale (Foto Zeppilli)

Fermo, 12 luglio 2016 - Primo round a favore della difesa di Amedeo Mancini e nuovo colpo di scena sulla vicenda della tragedia di via Veneto. Il gip del tribunale di Fermo, Marcello Caporale, ha deciso di non convalidare il fermo emesso dal sostituto procuratore Francesca Perlini. Il giudice, a bocce ferme, non ha ritenuto sussistente il pericolo di fuga, ma ha concordato con quanto già scritto nel provvedimento dal magistrato inquirente, che ha accusato Mancini di omicidio preterintenzionale con l’aggravante degli insulti razzisti.

Sia la Perlini che Caporale partono dal presupposto che ci sono due versioni dei fatti completamente diverse: quella della moglie della vittima e quella dell’indagato. La versione di Mancini è rafforzata, come detto già dal sostituto procuratore che coordina le indagini, da due supertestimoni che il magistrato inquirente, come ha scritto nei verbali, ritiene essere assolutamente credibili.   Alle due donne, già sentite subito dopo la tragedia, si sono aggiunte due operatrici del volontariato, che hanno assistito solo parzialmente all’accaduto. Anche loro hanno confermato la versione di Mancini. Così il gip sulla base degli aggiornamenti del fascicolo e in perfetta sintonia con la procura ha disposto la custodia cautelare in carcere per rischio di reiterazione del reato. Il dispositivo recita testualmente queste parole: «Ci troviamo di fronte a un soggetto che non ha i necessari freni inibitori per evitare, seppur provocato, gravi delitti contro la persona. È condivisibile e altamente probabile che si presenterà l’occasione di molestare o aggredire altri soggetti extracomunitari vista la massiccia presenza nella provincia e a Fermo».

Soddisfatto all’uscita dal tribunale il legale di Mancini, l’avvocato Francesco De Minicis: «È una misura cautelare che tutela tutti, ma che sostanzialmente ci dà ragione. È emerso chiaramente che la versione della vedova non è attendibile, mentre quella dei testimoni sì. Ora però c’è la necessità di abbassare i toni e lasciare lavorare in pace gli inquirenti». Ieri pomeriggio, la moglie di Namdi, sulla scorta dei nuovi elementi raccolti dagli inquirenti, è stata sentita nuovamente a sit dalla polizia. Poco prima, Chinyere, accompagnata dai suoi avvocati, Igor Giostra e Letizia Astorri, era tornata sul luogo della tragedia per cercare di ricostruire a freddo la dinamica di quel maledetto pomeriggio di una settimana fa.   Durante l’interrogatorio di garanzia, invece, Mancini ha espresso il desiderio di donare i suoi averi alla vedova: «L’unica cosa che possiedo è la terza parte di una casa e un po’ di terra e la metto a disposizione della vedova per il danno morale creato». Un gesto che, a sua avviso, non ha niente a che vedere con la dinamica dei fatti: «Mi sono solo difeso da un’aggressione». Segnali distensivi sono giunti anche da don Vinicio Albanesi: «Tutti gli atti di buona volontà vanno sempre accolti, affinché ci sia la pace di tutti, ma l’offerta di Mancini, pronto a mettere a disposizione di Chinyere tutto quello che ha, non è ancora un argomento nemmeno vagamente sfiorato con la vedova».