Protesta dei profughi: "Si mangia solo riso"

Formigine, Dell’Amico (Caleidos): "Le difficoltà col cibo rivelano disagio psicologico"

L’albergo Giardini

L’albergo Giardini

Modena, 6 novembre 2016 – «Rice in the morning, rice in the afternoon, rice in the evening», «riso di mattina, riso a pranzo, riso a cena, non se ne può più». Il denaro per i profughi alloggiati all’albergo Giardini arriva con il contagocce, in compenso abbondano i cereali. Il giorno dopo l’ ‘aggressione’ ai danni di un’operatrice della Caleidos – da parte di una rifugiata con il figlio di tre mesi ammalato che rivendicava la paga mensile di 75 euro (due euro e mezzo al giorno) – diventa l’occasione per una chiacchierata con gli ospiti dell’hotel. «Tutto bene – spiegano in un ottimo inglese – non ci sono grossi problemi». Solo quando si parla di cibo il viso si contrae in una smorfia. «E’ buono, ma si mangia troppo riso». Sulla qualità insomma non si discute. Alla reception ci spiegano per esempio che «sono gli stessi piatti che mangiamo noi».

Il nodo è la monotonia del gusto. E d’altronde se accoglienza deve essere, anche un’alimentazione varia non può essere liquidata come una pretesa. Si scopre per esempio che comporre un menù che vada bene per tutti è un lavoro da chirurgo. I pasti che arrivano all’hotel Giardini provengono da un laboratorio dove operano cuochi professionisti. Maiale naturalmente neanche a parlarne, chi proviene dal Gambia predilige pollo e riso, i nigeriani invece si orientano su ricette a base di pesce affumicato dagli afrori che afferanno alla gola, la pasta al pomodoro non riscuote molti consensi, e anche lo spezzatino in umido dopo un po’ stufa. «Gli stessi albergatori – spiega Giorgio Dell’Amico, responsabile del progetto accoglienza della Caleidos – cominciano ad avere difficoltà con i fornitori perchè non sanno come regolarsi: diventa molto complicato conciliare le diverse abitudini». Capricci? Tutt’altro. Per Dell’amico è il sintomo di un malesssere psicologico generale: «Il cibo quando non ci sono i soldi e si vive contando le ore che passano non ha sapore. Soprattutto chi è in albergo partecipa poco rispetto per esempio a chi è in appartamento alle attività culturali e formative previste». In ogni caso il rimedio in cucina potrebbe essere quello di indirizzare i profughi che hanno concluso i corsi di cucina proprio a preparare i pasti per i connazionali, così da migliorare la situazione. «Naturalmente andrebbero pagati, il problema è sempre lì...».